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Cancro al seno, il primo test genomico per i tumori aggressivi

Cancro al seno, il primo test genomico per i tumori aggressivi
Messo a punto dalle università di Padova e di Barcellona, analizza 27 geni per stabilire il tipo di trattamento più indicato, e per valutare la prognosi e il rischio di recidiva in chi presenta un tumore al seno del tipo Her2-positivo
2 minuti di lettura

Ricercatori italiani e spagnoli hanno messo a punto, e validato, il primo test genomico che consente di personalizzare la cura per le donne con un tumore al seno in stadio iniziale del tipo Her2-positivo, che rappresentano il 15-20% di tutti i casi.

Si chiama HER2DX e si basa sull'analisi del Dna del tumore: il risultato è un punteggio che aiuta i medici a capire, caso per caso, quando sia necessario ricorrere a un trattamento più "aggressivo" o quando, invece, si possano evitare tossicità superflue. Con importanti benefici tanto per le pazienti quanto per il sistema sanitario, risparmiando cure inappropriate.


HER2DX è stato sviluppato e brevettato dalle università di Padova e di Barcellona, che lo hanno sperimentato in oltre mille pazienti. I risultati degli studi sono stati pubblicati su Lancet Oncology e Lancet eBioMedicine. Il test ha dimostrato di avere un valore sia prognostico che predittivo: permette cioè di stimare le possibilità di sopravvivenza e, nelle pazienti che si sottopongono alla terapia prima dell'intervento (raccomandata nei tumori Her2 al di sopra dei due centimetri o con linfonodi palpabili), indica le probabilità di raggiungere la risposta patologica completa, ossia la completa scomparsa del tumore.

Il tumore al seno HER2-positivo

Il carcinoma della mammella viene diagnosticato in Italia a circa 55 mila donne ogni anno. Come è ormai noto, il cancro al seno non è però una sola malattia, ma un gruppo di malattie anche molto diverse. E di questi 55 mila casi, oltre 8 mila presentano un'iperespressione della proteina HER2. "Nei tumori HER2 positivi la crescita delle cellule tumorali è dovuta alla stimolazione di questo recettore, che è presente in sovrabbondanza, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate", spiega Pierfranco Conte, Presidente di Fondazione Periplo e Professore di Oncologia Medica all'Università di Padova: "Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, quando non avevamo farmaci efficaci, la prognosi era sfavorevole. Oggi invece, grazie alla disponibilità di terapie mirate che interferiscono bloccando il recettore HER2, il decorso clinico è cambiato radicalmente".

Perché serve un test genomico

Il primo anticorpo monoclonale anti-HER2, che ha rivoluzionato la storia della malattia, è stato trastuzumab, utilizzato ancora oggi. In seguito sono arrivate altre terapie, tra cui gli anticorpi coniugati che veicolano farmaci citotossici molto potenti come trastuzumab emtansine, gli inibitori tirosin chisanici e farmaci chemioterapici associati alle molecole anti-HER2.

Proprio la possibilità di disporre di più cure richiede nuovi strumenti per aiutare i clinici nella scelta, per evitare sovra- o sotto-trattamenti. "I parametri tradizionali utilizzati dagli oncologi - continua Conte- sono costituiti dalle dimensioni del tumore, dallo stato dei linfonodi ascellari e dei recettori ormonali. Si tratta di criteri molto utili, ma fino ad oggi non avevamo strumenti per definire, nelle forme HER2 positive, il beneficio delle terapie mirate e il rischio di recidiva".

Test genomici sono già stati sviluppati e sono attualmente in uso per le pazienti con un altro tipo di tumore al seno, quello cosiddetto "ormonale", che cresce stimolato dagli ormoni femminile e che rappresenta circa il 65-70% di tutti i casi. Con l'arrivo di questo nuovo test genomico, complessivamente si potrebbe quindi offrire la possibilità di personalizzare ancora di più il percorso di cura ad oltre l'80% delle pazienti con un tumore al seno in stadio iniziale.

Come funziona il nuovo test

HER2DX valuta lo stato di attivazione di 27 geni che regolano quattro vie metaboliche fondamentali per la crescita del tumore: l'espressione di HER2, il ruolo degli ormoni, la velocità di proliferazione delle cellule tumorali e la reazione del nostro sistema immunitario. "Analizzando questo gruppo di geni - spiega ancora l'oncologo - abbiamo dimostrato che grazie al test genomico è possibile definire non solo la prognosi, cioè le probabilità di sopravvivenza senza presenza di malattia a distanza di anni dall'intervento chirurgico, ma anche la probabilità che le donne sottoposte a terapia preoperatoria, cioè neoadiuvante, ottengano la risposta patologica completa. Il risultato del test può indirizzare il clinico, per esempio, verso un'estensione della terapia adiuvante, utilizzando più farmaci anti HER2 dopo l'intervento chirurgico. Oppure può portare a una diminuzione dell'intensità delle cure, con chiari vantaggi in termini di tossicità evitate alle pazienti e risparmi di risorse per il sistema".

Le donne che la ottengono di solito presentano una prognosi migliore, sebbene non sia escluso il rischio di recidiva. "Di qui - conclude Conte - l'importanza del valore prognostico del test che funziona in sinergia con quello predittivo e consente di scegliere il trattamento migliore anche nei casi di difficile interpretazione".