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Esmo 2022

Tumore delle vie biliari: con la ‘doppietta’ immuno-chemioterapia aumenta la sopravvivenza

Tumore delle vie biliari: con la ‘doppietta’ immuno-chemioterapia aumenta la sopravvivenza
Nuovi dati presentati al Congresso Esmo hanno mostrato un beneficio clinicamente significativo maggiore per la combinazione con un immunoterapico rispetto allo standard di cura con la sola chemioterapia
2 minuti di lettura

Ancora una buona notizia dal Congresso Esmo e questa volta riguarda chi ha un tumore alle vie biliari. Dai dati dello studio Topaz-1 emerge una stima incoraggiante secondo cui il numero di pazienti vivi a due anni potrebbe essere più che raddoppiato rispetto alla sola chemioterapia (23,6% rispetto a 11,5%). In particolare, i risultati aggiornati dello studio di Fase III TOPAZ-1, il primo ad evidenziare un miglioramento della sopravvivenza globale con una combinazione immunoterapica nel carcinoma avanzato delle vie biliari, mostrano che durvalumab di AstraZeneca, in combinazione con la chemioterapia standard di cura, presenta un beneficio clinicamente significativo e duraturo di sopravvivenza globale (OS) nel trattamento dei pazienti con tumore delle vie biliari (BTC) avanzato. I risultati aggiornati di TOPAZ-1, vengono presentati oggi al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (European Society for Medical Oncology, ESMO) a Parigi.

Il tumore delle vie biliari

Il tumore delle vie biliari (BTC) è un gruppo di tumori gastrointestinali raro e aggressivo che si forma nelle cellule delle vie biliari (colangiocarcinoma), cistifellea o ampolla di Vater (la sede in cui i dotti biliare e pancreatico si collegano all’intestino tenue).Circa 50.000 pazienti negli Stati Uniti, Europa e Giappone e quasi 210.000 in tutto il mondo ricevono una diagnosi di BTC ogni anno. Questi pazienti hanno una prognosi sfavorevole, con una percentuale del 5-15% di sopravvivenza a cinque anni. Il BTC di stadio precoce che colpisce i dotti biliari e la cistifellea spesso si presenta senza sintomi evidenti, pertanto la maggior parte di questi tumori viene diagnosticata in fase avanzata, quando le opzioni terapeutiche sono limitate e la prognosi è sfavorevole.

“Il tumore delle vie biliari è una patologia in costante crescita, ogni anno in Italia si registrano circa 5400 nuovi casi – afferma Lorenzo Antonuzzo, professore associato di Oncologia Medica all’Università di Firenze e Direttore SODc Oncologia Clinica AOU Careggi, Firenze. Non esistono test di screening o esami diagnostici in grado di identificare questa neoplasia in fase iniziale, quando è ancora possibile la rimozione chirurgica. La malattia è spesso caratterizzata da sintomi generici (ad esempio dolore addominale, perdita di peso, nausea, malessere), che possono essere facilmente sottovalutati o confusi con quelli di altre patologie. Per questo il 70% dei pazienti presenta alla diagnosi una malattia già in fase avanzata, con poche possibilità di trattamento. Da qui la forte necessità clinica di nuove terapie”.

Il vantaggio della combinazione

I dati aggiornati di durvalumab in combinazione a chemioterapia (gemcitabina più cisplatino) hanno mostrato una maggiore efficacia clinica al follow-up esteso di 6,5 mesi, mostrando una riduzione del 24% del rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia. La sopravvivenza globale mediana aggiornata era di 12,9 mesi rispetto a 11,3 con la sola chemioterapia. Si stima che il numero di pazienti vivi a due anni sia più che raddoppiato rispetto alla sola chemioterapia (23,6% rispetto a 11,5%). I risultati sono stati osservati in tutti i sottogruppi predefiniti, indipendentemente dalla sede del tumore e dall’espressione di PD-L1. Inoltre, il beneficio di sopravvivenza globale è stato osservato sia nei pazienti con malattia stabile che nei pazienti in cui il tumore si è ridotto o è scomparso.

“E’ entusiasmante osservare il miglioramento della sopravvivenza globale ottenuto grazie alla combinazione di durvalumab più chemioterapia rispetto allo standard di cura dei pazienti con tumore delle vie biliari avanzato, al follow-up mediano di quasi due anni – spiega Antonuzzo -. Con progressi terapeutici limitati negli ultimi dieci anni, questi pazienti per molto tempo hanno affrontato una prognosi infausta. Per la prima volta, una combinazione a base di immunoterapia ha mostrato la capacità di modificare il trattamento di questa malattia e dovrebbe diventare il nuovo standard di cura”.