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Casa e luogo di cura: prove di continuità assistenziale in ematologia

Casa e luogo di cura: prove di continuità assistenziale in ematologia
A Roma, grazie all'iniziativa del Policlinico Umberto I e della sezione locale di Ail, in piena pandemia sono stati trattati oltre 200 pazienti con un programma di cure integrate ospedaliere e domiciliari. Un nuovo modo di intendere la cura, anche fuori dall'ospedale
2 minuti di lettura

La casa anche come luogo di cura, non per sostituire l'ospedale, ma per ottimizzare tempi e risorse, venendo incontro alle esigenze dei pazienti, laddove possibile. È stato questo lo spirito dietro il progetto del dipartimento di Ematologia del Policlinico Umberto I di Roma e la sezione di Roma dell'Associazione italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma (AIL) sulla continuità assistenziale per pazienti ematologici. In due anni, in piena epoca Covid, il progetto ha seguito 243 pazienti, che sono stati inseriti in un programma di cure integrate e simultanee ospedale-domicilio.

L'idea dietro l'iniziativa - coordinata da Claudio Cartoni, Responsabile Unità Cure Palliative e Domiciliari (UCPD) e da Maurizio Martelli, direttore della UOC di Ematologia - era quella di garantire la continuità delle cure e al tempo stesso la qualità di vita dei pazienti. "La continuità terapeutica è ben diversa dall'assistenza domiciliare a cui siamo abituati -   ha commentato Martelli - si tratta di un'attività di cura vera e propria al di fuori della struttura ospedaliera. L'abbiamo sperimentato in una fase di emergenza: nel periodo più duro della pandemia abbiamo curato efficacemente circa duecento pazienti a domicilio, pazienti che non avrebbero potuto raggiungere l'ospedale o che avrebbero corso un rischio di contagio troppo alto. Abbiamo dimostrato che si può fare".

Ma il progetto, nato in fase emergenziale, si candida a rivoluzionare anche il modo di intendere le terapie, oltre l'assistenza domiciliare. E non solo promuovendo un uso più appropriato dei posti letto in ospedale. "L'approccio di continuità territoriale tra ospedale e domicilio sta rivoluzionando l'approccio olistico alla cura - ha aggiunto Cartoni - le terapie mediche escono dagli ospedali, garantendo equità delle cure per chi ha difficoltà di accesso alle stesse, garantendo un supporto medico, sociale e psicologico ai pazienti più fragili. Numerosi studi dimostrano come l'isolamento sociale sia una variabile importante nel decorso della malattia, per questo tale approccio ha un grande valore dal punto di vista terapeutico. La good practice dell'Umberto I è resa possibile dalla sinergia tra la struttura sanitaria, AIL Roma e la Regione Lazio". E potrebbe diventare ora una competenza da allenare nelle nuove generazioni di medici, ha concluso Alberto Deales, direttore sanitario del policlinico Umberto I, per portare sempre di più la medicina a servizio dei pazienti, anche fuori dagli ospedali. 

Alle promesse della continuità assistenziale si uniscono anche i dati relativi ai risparmi per i sistemi sanitari della dislocazione delle cure fuori dall'ospedale. Qualche dato in proposito arriva da uno studio pubblicato poco tempo fa sui risparmi legati alla somministrazione di cure palliative precoci rispetto alle cure ospedaliere standard per i pazienti fragili, che ha coinvolto 119 pazienti. Quelli curati a casa (59) erano più debilitati e avevano una sopravvivenza più breve rispetto ai 60 del gruppo ospedaliero (2,7 contro 8,4 mesi, ma la proporzione di pazienti in fase terminale era maggiore in quelli domiciliari, 41% contro il 28%). I sintomi invece erano simili in entrambi i gruppi, a casa il numero medio settimanale di trasfusioni (1,45) era inferiore a quello in ospedale (2,77), così come quello di infezioni (21% contro 54%). Infine il costo medio settimanale di cura per il ricovero ordinario era significativamente più alto in un rapporto 3:1 rispetto all'assistenza domiciliare che avrebbe fatto risparmiare circa 2300 euro per il sistema sanitario, secondo quanto riportano gli autori, e aggiunto circa 90 euro in più sulle spese famigliari.