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Tumore al seno, anticipare la terapia target riduce il rischio di recidiva

Aggiungere una terapia target prima che la malattia progredisca allunga il tempo in cui le donne non presentano segni di malattia. Un risultato che interessa un ampio numero di pazienti
2 minuti di lettura

Negli ultimi anni una classe di farmaci ha rivoluzionato la cura del tumore al seno metastatico: molecole target che colpiscono in maniera selettiva le cellule malate. È possibile anticipare questo beneficio a prima che si formino le metastasi, per aumentare ancora di più il tempo che i pazienti possono vivere senza che la malattia ritorni? Sì, ci dicono i risultati di uno studio presentato al congresso dell’Associazione americana di oncologia clinica (Asco) in corso a Chicago. Un risultato importante perché questi farmaci funzionano nel tumore del seno più diffuso, quello che risponde agli ormoni HER2 negativo allo stadio iniziale, che rappresenta il 65-70% delle oltre 55 mila nuove diagnosi che ogni anno si fanno in Italia. “I dati presentati, per quanto preliminari, sono molto positivi perché dimostrano che l’aggiunta in fase adiuvante di ribociclib diminuisce del 25% il rischio di ricorrenza del tumore”, afferma Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli. 

 


Nonostante il costante aumento dei casi di tumore alla mammella, la mortalità è diminuita del 6,8% dal 2015 al 2021, non soltanto per effetto della diagnosi precoce attraverso programmi di screening, ma anche per l’efficacia della terapia adiuvante. “La sopravvivenza a 5 anni infatti raggiunge l’88% e pone il nostro Paese ai vertici in Europa. Sono tre i trattamenti adiuvanti: chemioterapia, ormonoterapia e terapia biologica, proposti alle pazienti in base allo studio del singolo caso, alle caratteristiche della neoplasia e alle condizioni fisiche della donna”, spiega Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). “Purtroppo, però, per molte pazienti in generale non vi sono strumenti efficaci per ridurre in maniera sostanziale il rischio di recidiva”. Ecco perché, secondo gli esperti, questo studio ha il potenziale di cambiare la pratica clinica. “Ridurre le recidive, inoltre, significa contenere il considerevole costo per il sistema sanitario in termini di farmaci, visite e ospedalizzazioni necessari quando la malattia diventa metastatica, oltre alle conseguenze negative sulla qualità di vita”, aggiunge Cinieri.

 

Ridurre le recidive

 

Per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti, le pazienti con carcinoma mammario in stadio precoce, positivo per i recettori ormonali e HER2 negativo, assumono il trattamento ormonale standard di durata compresa tra 5 e 10 anni, in aggiunta o meno alla chemioterapia. Nello studio Natalee, che ha coinvolto oltre 5000 pazienti, uomini e donne, ribociclib è stato somministrato per 3 anni insieme all’ormonoterapia. “In questo modo è stato ridotto di un ulteriore 25% il rischio di recidiva, in una popolazione di pazienti molto vasta, che include anche le donne senza coinvolgimento linfonodale. Ci auguriamo che la disponibilità della terapia avvenga quanto prima, perché potremo offrire un’opportunità terapeutica efficace a una grande platea di pazienti”, afferma De Laurentiis. In Italia, le donne che potrebbero beneficiare di questa terapia sono circa 20mila ogni anno.

“Le pazienti con tumore della mammella in stadio precoce con recettori ormonali positivi e HER2 negativo restano a rischio di recidiva, perché la malattia si ripresenta in un terzo dei casi inizialmente in stadio II e nella metà di quelli esorditi in stadio III. Inoltre, il 90% delle recidive che si sviluppano entro 5 anni portano alla malattia metastatica”, sottolinea Fabio Puglisi, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica all’IRCCS CRO di Aviano, Professore Ordinario e Direttore della scuola di specializzazione in Oncologia Medica all’Università degli Studi di Udine.  L’evoluzione della patologia da stadio iniziale a metastatico ha ripercussioni negative non solo sulla sopravvivenza, ma anche sulla qualità di vita dei pazienti. “I dati dello studio Natalee rappresentano un ulteriore passo avanti per portare a guarigione un maggior numero di pazienti. Questi risultati potranno avere un impatto maggiore di quanto ottenuto in passato nel trattamento adiuvante con la chemioterapia o con l’ormonoterapia basata sugli inibitori dell’aromatasi”, conclude Puglisi.