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Cancro al seno, l'identikit: i tipi e le terapie

Dare un nome a ogni tumore è necessario per combatterlo con le armi più adeguate. Intervista al medico patologo Giuseppe Viale, che racconta come la cura di questa neoplasia sia destinata a cambiare in fretta 
3 minuti di lettura

Immaginiamo di indagare su un "caso" di tumore al seno. Come in un delitto si cercano indizi e prove. All'inizio la scena appare indistinta: tra tante tracce confondenti bisogna trovare quelle che possano indicare come e perché è accaduto un fatto, per evitare che si ripeta. Delineare la catena di cause ed effetti, per poi spezzarla. Cosa guardare?

All'inizio le uniche informazioni riportate sul fascicolo "cancro al seno" erano quelle fisiche e macroscopiche, cioè quanto è grande il tumore e quanto si è diffuso, e solo in base a questo si decideva come intervenire per "arrestarlo". Ma col tempo la nostra capacità di indagare ha fatto un salto, guardando nel molecolare. Si è capito che le cellule tumorali possono avere diversi "moventi": possono essere spinte a crescere e a diffondersi dagli ormoni femminili (e questi tumori sono stati chiamati, appunto, sensibili agli estrogeni e/o al progesterone, e sono la maggior parte), oppure da un altro "attore", una proteina chiamata HER2. Questa scoperta ha portato a farmaci in grado di prendere di mira proprio questi meccanismi. E arriviamo ad oggi: improvvisamente, negli ultimi due-tre anni, l'elenco dei "moventi" - e quindi dei possibili bersagli da colpire - si è allungato di molto.

Lo racconta a Salute Seno Giuseppe Viale, Direttore del Dipartimento Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio all'Istituto europeo di oncologia (Ieo), che il 15 marzo ha ricevuto il St.Gallen Breast Cancer Award (come già Gianni Bonadonna e Umberto Veronesi prima di lui), in occasione dell'apertura del congresso dedicato al tumore al seno in stadio iniziale. È la prima volta che questo prestigioso riconoscimento viene assegnato a un anatomo-patologo, cioè proprio a chi "investiga" sugli indizi molecolari del tumore.

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Sei nuovi nomi per il tumore al seno

"Per circa 30 anni abbiamo avuto a disposizione solo due marcatori per il carcinoma mammario e tutti gli altri casi venivano definiti indistintamente tumori 'triplo-negativi' - spiega Viale - Oggi, invece, ne abbiamo a disposizione 7-8, che ci aiutano anche a predire la risposta a specifiche terapie. Questo vuol dire che possiamo dare un nome anche ad alcuni tumori che prima rientravano nel gruppo indistinto del 'triplo negativo'". C'è PDL1, che indica una sensibilità all'immunoterapia, e il recettore per gli androgeni (entrambi presenti, appunto, in una certa percentuale di tumori triplo negativi); HER2 low, cioè una bassa espressione di HER 2, che fino a poco tempo fa non veniva rilevata; HER3, per il quale c'è un farmaco in sviluppo. E poi ci sono le mutazioni di alcuni geni: BRCA1 e 2 e PIK3CA.

Come cambierà la terapia

"Per alcuni di questi marcatori abbiamo già dei farmaci mirati - riprende Viale - Per esempio nel caso delle mutazioni BRCA, abbiamo i parp-inibitori come olaparib, che si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di recidiva. E ciò impone l'identificazione delle pazienti mutate al di là della familiarità e dell'età: significa che dovremmo testare per queste mutazioni molte più pazienti di quanto non facciamo attualmente. Ancora, per chi presenta PDL1 si è osservato un importante beneficio dell'immunoterapia con pembrolizumab somministrato prima dell'intervento chirurgico".

Ma a questo punto si pone un'altra sfida: uno stesso tumore - spiega l'esperto - avrà più di un marcatore, quindi una paziente potrà essere candidata a più di un trattamento, ma ovviamente la tossicità cumulativa di queste terapie impedirà di fare grandi combinazioni. "Quello che mi auguro riusciremo a fare non è solo identificare pazienti candidate a un certo trattamento - cosa in cui siamo già bravi - ma dire quali delle pazienti candidate risponderanno davvero, e in quale misura. Come dicono negli Usa, dovremo imparare a valutare la 'grandezza del beneficiò delle diverse possibili coppie biomarcatore-terapia".

Anche ciò che circonda il tumore conta

E le caratteristiche delle cellule tumorali non sono nemmeno le sole che bisognerà valutare. Sempre di più, infatti, si sta capendo l'importanza dell'ambiente che le circonda e che può influenzare molto il modo in cui il cancro si sviluppa. Il lavoro investigativo appare dunque sempre più complicato. "Lo è - conferma Viale - ma se lo condurremo bene porterà a risultati importanti. Come quelli che già abbiamo ottenuto: sono stati fatti enormi progressi in termini di sopravvivenza per questa malattia".

Alla ricerca dei perché

Che il tumore al seno potesse crescere "nutrito" dagli estrogeni, per esempio, lo si è scoperto solo nella metà degli anni '80 e da allora la mortalità per questa malattia continua a diminuire. "Nessuno a quel tempo avrebbe potuto immaginare quello che stiamo vedendo adesso - conclude Viale - Avevo scelto di fare il patologo perché mi ero reso conto di essere più interessato a cercare di capire perché una malattia si sviluppi e progredisca, e come. Mi ero reso conto che le risposte ai miei perché sarebbero venute dall'analisi di cellule e tessuti". Adesso quelle risposte potrebbero cambiare la vita di molte pazienti.