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Controlli il diabete, proteggi il cuore

Se si mantengono normali i valori dei parametri principali di controllo della patologia, il rischio di infarto ed ictus non cresce di molto nei diabetici rispetto a chi non ha la malattia. Da controllare i livelli di emoglobina glicata, soprattutto nei giovani.

2 minuti di lettura

Emoglobina glicata, che monitora le variazioni della glicemia nel tempo. Alti livelli di colesterolo “cattivo” o LDL. Presenza di albuminuria, segno che i reni non filtrano a dovere. Pressione arteriosa fuori controllo. Fumo. Se si riesce a tenere all’interno di livelli accettabili questi parametri (per il fumo ovviamente significa dimenticare le sigarette), chi soffre di diabete di tipo 2 (quello che compare negli adulti) avrebbe un rischio solo di pochissimo più elevato rispetto ai pari età non diabetici di andare incontro morte, ictus o infarti. Solo il pericolo di ritrovarsi ricoverati per scompenso cardiaco sarebbe significativamente più elevato in chi presenta la malattia metabolica. Particolare attenzione va però prestata ai giovani adulti, esiste infatti una chiara relazione tra giovane età, aumento del numero dei parametri sopracitati che non rientrano nella norma e un incremento del rischio relative di eventi avversi cardiovascolari, tanto da far rilevare agli autori della ricerca che “possono essere guadagni potenziali molto più significativi da un trattamento più aggressivo nei giovani pazienti con diabete. Si possono riassumere così i risultati di uno dei più ampi studi di popolazione condotti per valutare davvero l’impatto del diabete sul rischio cardiovascolare in termini di mortalità, condotto su una coorte di adulti svedesi con diabete di tipo 2 e considerando al contempo i cinque potenziali fattori di rischio sopracitati. La ricerca è stata pubblicata su New England Journal of Medicine e dimostra chiaramente come il controllo dei parametri chiave del danno metabolico legato alla malattia e dei fattori di rischio associate sia la chiave per ridurre i pericoli legati alla patologia. L’indagine è stata coordinata da Aldin Rawshani, del Dipartimento di Medicina Molecolare e Clinica della Sahlgrenska Academy, in Svezia.

Uno studio estremamente complesso

La ricerca ha puntato diritta verso un obiettivo preciso: comprendere quanto un trattamento che potesse mantenere a valori normali i fattori di rischio sopracitati fosse in grado di tradursi in una riduzione dei pericoli di morte e di gravi problemi cardiovascolari. “Non era chiaro la reale entità di come l’eccesso di rischio correlato al diabete di tipo 2 potesse esse ridotto o potenzialmente eliminato attraverso un trattamento basato sulle evidenze e sulla modificazione dei diversi di rischio – segnala l’esperto scandinavo. In una popolazione che ha compreso l’intera nazione abbiamo quindi valutato l’associazione tra l’eccesso di rischio di morte e di esiti cardiovascolari nei pazienti con diabete di tipo 2, considerando le variabili in termini di fattori di rischio, rispetto ai controlli simili per età, sesso e province in Svezia”. Lo studio ha preso quindi in esame le informazioni relative a 271,174 adulti con diabete di tipo 2 riconosciuti attraverso lo Swedish National Diabetes Register tra il 1988 e il 2012 (l’età media era di 61 anni e quasi la metà erano donne), correlando ogni persona con cinque controlli sani di pari età, dello stesso sesso e della stessa area geografica per un totale di oltre 1.350.000 persone. Il monitoraggio si è concluso nel dicembre 2014, con un’osservazione media per soggetto di 5,7 anni. Nel corso del periodo di osservazione sono stati osservati oltre 175.000 decessi, il 13,9 per cento nel gruppo dei soggetti con diabete e il 10,1 nella popolazione di controllo. Il dato più significativo emerso è che quanto più si tenevano sotto controllo l’emoglobina glicata, il colesterolo LDL, l’albuminuria, il fumo e la pressione tanto più scendeva il rischio di morte. Addirittura nei soggetti che raggiungevano l’obiettivo in tutti e cinque questi parametri il rischio di morte risultava solo di poco elevato rispetto ai non diabetici di pari età. Diversa è apparsa invece la situazione in termini di ricoveri per scompenso cardiaco: nei pazienti con diabete il rischio è risultato significativamente superiore rispetto ai coetanei senza la patologia. L’emoglobina glicata che supera i valori accettabili è risultata il principale fattore predittivo di ictus e infarto acuto del miocardico. Il fumo di sigaretta si è invece dimostrato il più forte predittore di morte  in questi malati. Sintesi finale: tenere sotto controllo le cinque variabili considerate, non facendo superare i target, potrebbe teoricamente portare ad eliminare l’eccesso di rischio di infarto acuto in questi malati. Curare bene il diabete, monitorando gli effetti delle terapie, è fondamentale per salvare delle vite e ridurre i costi per la sanità.

(FM)