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Combattere l’ipertensione e tenere la pressione “bassa” allunga la vita

Stare sotto i 120 di “massima” potrebbe consentire di avere un’aspettativa di vita più lunga anche di tre anni. Lo dice una ricerca americana

2 minuti di lettura

Che l’ipertensione sia un fattore di rischio cardiovascolare, e non solo visto l’impatto della pressione alta sui reni e su altri organi, è ormai risaputo. Ora però una ricerca condotta al Brigham and Women's Hospital di Boston, pubblicata su Jama Cardiology e coordinata da Muthiah Vaduganathan, aggiunge un importante tassello alle conoscenze sul valore di un ottimale controllo pressorio, in particolare della sistolica, per il benessere. La ricerca infatti dimostra che abbassare anche in modo molto serrato i valori di pressione si traduce in un allungamento dell’aspettativa di vita di chi riesce ad ottenere un risultato estremamente significativo: tenere la “massima” sotto la soglia dei 120 millimetri di mercurio. Quanto prima si raggiunge questo risultato, soprattutto nell’età media, tanto maggiori sono le possibilità di aggiungere anni alla vita, statisticamente in modo non certo disprezzabile. Chi riesce a portarsi a 120 millimetri di mercurio con la massima intorno ai 50 anni può attendersi addirittura di guadagnare tre anni di sopravvivenza, ovviamente in base a modelli matematici. Per giungere a questa conclusione gli esperti hanno ripreso in mano le osservazioni derivanti da una ricerca pubblicata qualche anno fa, chiamata studio SPRINT (Systolic Blood Pressure Intervention Trial) che già aveva dimostrato quanto poteva essere utile un buon controllo pressorio. Il nuovo studio ha aggiunto ulteriore valore a quelle osservazioni.

Cosa dice la ricerca

L’indagine degli studiosi di Boston ha quindi rianalizzato i risultati della ricerca SPRINT. applicando strumenti di valutazione in grado di offrire informazioni sulla sopravvivenza (più o meno come si fa per valutare i medicinali antitumorali). Sono stati quindi riconsiderati, in quest’ottica, i dati relativi a oltre 9000 persone che avevano una pressione massima variabile tra 130 e 180 millimetri di mercurio, quindi ad elevato rischio cardiovascolare. Queste persone sono state seguite per quasi tre anni, anche con l’offerta gratuita di farmaci per portare la pressione a livelli ottimali, cioè sotto i 120 di massima, o a valori considerati comunque come standard, quindi fino a 140 millimetri di mercurio. A questo punto è entrata in gioco la nuova modalità di analisi, che praticamente ha valutato l’impatto della riduzione pressoria come se questa fosse stata mantenuta negli anni, per il resto della vita. In pratica, abbassando con grande impegno (e con i medicinali) la pressione chi riusciva a raggiungere e mantenere quota 120 poteva attendersi di veder prolungata la propria esistenza anche di quasi tre anni, rispetto a chi invece arrivava intorno ai 140 millimetri di mercurio. La variabilità nel range di sopravvivenza appare legata soprattutto all’età in cui si ottiene questo risultato. Chi arriva a controllare la pressione a valori ottimali (quindi appunto fino a 120 millimetri di mercurio) già a cinquant’anni può attendersi un prolungamento della vita di due anni e nove mesi, chi raggiunge il target a 65 anni aumenta la sopravvivenza di poco più di un anno e chi invece ottiene il risultato a 80 anni potrebbe attendersi di guadagnare 9 mesi. Come a dire che, per la pressione, più è bassa e meglio è.

 

(FM)