
Scegliete la via che preferite, sia essa psicologica o farmacologica. E non dimenticate che la volontà è fondamentale per dire addio alle sigarette. Ma, in ogni caso, lasciate da parte il fumo. Se è vero che l’abbandono di questa abitudine si rivela una sorta di “salvacondotto” per la salute cardiovascolare in generale, essendo proprio il fumo uno dei fattori di rischio più temibili, la scelta di salutare per sempre la sigaretta può rivelarsi davvero vincente per chi soffre di fibrillazione atriale. Il motivo? Secondo una ricerca condotta da un’equipe coreana da parte degli esperti dell’Ospedale Universitario Nazionale di Seul e presentata al Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC) semplicemente con questa scelta di vita chi soffre di fibrillazione atriale, l’aritmia più diffusa nella popolazione la cui incidenza sale con l’età, vedrebbe scendere significativamente il rischio di andare incontro a un ictus cerebrale, la più temuta complicanza del quadro cardiaco. In particolare, la semplice presenza dell’aritmia, spesso nemmeno riconosciuta anche perché può dare sintomi molto leggeri o risultare del tutto asintomatica tanto da essere scoperta per caso, può aumentare anche di cinque volte il rischio di un problema cerebrovascolare. La ricerca, come è ovvio, ha preso in esame una grandissima mole di dati, ricavati attraverso la banca dati del Korean National Health Insurance Service e del National Health Screening: in pratica si tratta delle informazioni relative ad una sorta di “controllo della salute” che interessa i tre quarti della popolazione del Paese asiatico e viene ripetuto ogni due anni a partire dai 40 anni. In questo modo sono stati identificati oltre mezzo milione di malati di fibrillazione atriale: poi, eliminando la gran parte di questi, l’analisi è stata condotta su poco meno di 100.000 persone con la patologia aritmica (e senza alcun ictus precedente) di età media di 61 anni.
Il “peso” del fumo sugli uomini
La popolazione presa in esame è stata in seguito suddivisa in fasce, in base al vizio del fumo. La maggior parte, oltre la metà dei partecipanti, faceva parte del gruppo dei non fumatori ma quasi uno su tre era un ex-fumatore che aveva dato l’addio alle sigarette prima della diagnosi. Quasi il 7 per cento dei soggetti reclutati ha smesso invece in seguito alla diagnosi di aritmia e infine il 14,6 per cento dei soggetti ha comunque continuato a fumare anche dopo il riconoscimento della fibrillazione atriale o addirittura ha iniziato in quel momento. Tutti i soggetti sono stati seguiti per tre anni e l’analisi dei dati ha dimostrato che in confronto alle persone del quarto gruppo, ossia i fumatori di vecchia data oppure i fumatori post-diagnosi, chi smetteva di fumare dopo la diagnosi, riduceva del 30 per cento le probabilità di ictus e del 16 per cento il rischio di morte prematura per qualunque causa. Per il resto, a confermare il pericolo legato alle sigarette, chi ha iniziato o ha continuato a fumare ha mostrato un rischio di ictus superiore a chi invece non ha mai portato alla bocca la sigaretta. Proseguendo nell’analisi emerge che i quitter sono più a rischio dei “never-smoker” con il 19 per cento di probabilità in più di ictus e il 46 per cento di morte per ogni causa. Attenzione però: a fronte di una popolazione femminile che purtroppo sta percentualmente scalando le classifiche di prevalenza del fumo, le tendenze mostrate sono state osservate nella popolazione maschile.