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L’esercizio protegge il cuore se il rene non lavora bene

Meno eventi cardiovascolari e minor rischio di morte grazie all’attività fisica regolare nei pazienti con insufficienza renale cronica

2 minuti di lettura

Gli esperti li chiamano organi nobili. Sono cuore cervello e rene, visto che per queste strutture il costante apporto di sangue è fondamentale, pena il benessere dell’intero organismo. Purtroppo l’insufficienza renale cronica, o malattia renale cronica, interessa a livelli diversi dal 7 al 10 per cento della popolazione. E spesso cuore e rene vanno di pari passo, con un incremento del rischio cardiovascolare legato alla funzione renale deficitaria e, in senso opposto, con i reni che risentono delle patologie cardiache. C’è però un elemento che aiuta a proteggere il cuore in chi soffre di malattia renale cronica ed è una misura non farmacologica che tutti possono seguire: l’attività fisica regolare. A “benedire” questa sana abitudine è una ricerca apparsa su European Journal of Preventive Cardiology, coordinata da Der-Cherng Tarng dell’Università Nazionale Yang-Ming: stando a quanto riporta lo stesso studioso, sarebbe necessario integrare l’attività fisica nel trattamento consigliato per la cura della patologia renale cronica. Lo studio infatti dimostra che chi segue i consigli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (almeno 150 minuti di attività fisica settimanale di intensità moderata  o almeno 75 minuti di attività fisica di intensità vigorosa) nei circa due anni di osservazione previsti dalla ricerca presenta una salute globale e quindi anche cardiaca migliore rispetto a chi invece conduce una vita sedentaria. Grazie a questa strategia, peraltro, si riduce il rischio di decessi per patologie cardiovascolari, in primo luogo infarto, scompenso e ictus, che nelle forme più avanzate di malattia renale cronica aumenta anche di 10 e più colte rispetto alla popolazione generale.

I dati della ricerca

Oltre 4500 persone con malattia renale cronica, ma non ancora in trattamento di emodialisi, sono stati interessati dall’analisi: a tutti è stato proposto uno specifico questionario sull’attività fisica settimanale, in base alle definizioni dell’OMS. Si sono così ottenuti tre diversi gruppi di pazienti, da quelli molto attivi fino a quelli praticamente sedentari. Nel periodo di osservazione di circa due anni ci sono stati 739 decessi, 1059 aggravamenti della patologia renale con sviluppo di patologie terminale e 521 hanno avuto un evento cardiaco grave. In chi faceva più movimento si è osservata una percentuale maggiore di persone che non sono andate incontro a questi fenomeni, dopo ovvio aggiustamento della situazione in considerazione anche della presenza di altri fattori di rischio. In particolare, rispetto al gruppo dei sedentari, il gruppo di soggetti che facevano un’elevata attività fisica settimanale ha mostrato un rischio inferiore del 38% di morte, un rischio inferiore del 17% di malattia renale allo stadio terminale e un rischio inferiore del 37% di eventi cardiovascolari avversi principali. Peraltro, quando dopo sei mesi di osservazione i pazienti molto attivi che sono diventati più sedentari hanno aumentato di due volte i rischi di morte e di eventi cardiovascolari rispetto a quelli molto attivi.

 

(FM)