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Sportello cuore

Lo stress aumenta il rischio infarto: di due volte e mezzo

Gli effetti della tensione emotiva sul cuore. A rischio soprattutto gli uomini, specialmente se con scompenso cardiaco, diabete o ischemia grave delle coronarie
3 minuti di lettura

Elettrocardiogramma, prova da sforzo, ecocardiografia, monitoraggio dei fattori di rischio classici. Sono solo esempi di esami per controllare la situazione nel tempo dopo un problema cardiovascolare: in chi soffre di patologie cardiache, il percorso di gestione della situazione va deciso caso per caso dal curante. Ma attenzione: se la persona è particolarmente esposta all’azione della tensione emotiva, sarebbe importante effettuare anche test che controllino il livello di stress psicologico del soggetto, visto che la presenza di un’elevata sensibilità a questo parametro da sola potrebbe aumentare di due volte e mezzo il pericolo di andare incontro ad infarti o decessi per cause cardiovascolari e di due volte quella di sviluppare uno scompenso cardiaco nei cinque anni successivi alla diagnosi del problema cardiaco.

Studiare il versante psicologico ed evidenziare chi è a rischio in questo senso potrebbe quindi rappresentare una chiave per mettere in atto contromisure specifiche, dalla mindfulness fino allo yoga e ad attività fisica aerobica guidata, o magari anche farmaci che possano influire sugli effetti cardiovascolari della tensione emotiva. A far ipotizzare questa sorta di “percorso” antistress per chi soffre di cuore sono i risultati di una ricerca apparsa su Jama, condotta dall’équipe coordinata tra gli altri da Viola Vaccarino, docente presso l’Università Emory di Atlanta. Lo studio, che non si può ovviamente considerare conclusivo sul tema ma che segnala una serie di indicazioni molto significative, ha preso in esame 918 persone di età compresa tra 18 e 79 anni, con malattia stabile delle arterie coronariche, un terzo dei quali è stato ricoverato per attacco cardiaco nei due quadrimestri precedenti l’inizio della ricerca.

Per valutare l’impatto dello stress, ovviamente sotto controllo medico, gli esperti hanno “costretto” i partecipanti a preparare un discorso e poi farlo in pubblico, rilevando in questa fase pressione arteriosa e frequenza dei battiti. Come se non bastasse, è stato effettuata una misurazione standard dello stress come si effettua in corso di attività fisica. Risultato: il 16% dei soggetti, la popolazione dei particolarmente emotivi, ha sviluppato un’ischemia durante il test davanti agli altri, frutto della pressione psicologica, il 31% ha avuto una risposta ischemica più classica in risposta alla tensione e una persona su dieci è risultata esposta ad entrambi i rischi. Inoltre, nei cinque anni di osservazione, l’8% di chi aveva avuto un’ischemia del miocardio legata esclusivamente a stress mentale è deceduto per problemi cardiovascolari nei cinque anni di osservazione, contro il 4% di chi non ha avuto risposte psicologiche particolari in seguito a stress.

Non solo: anche la mortalità per qualsiasi causa è risultata aumentata nei soggetti mentalmente “stressati” rispetto a chi era più “tranquillo”. Insomma: a prescindere dalla gestione dei fattori di rischio e della situazione circolatoria, prestare più attenzione alla condizione emotiva senza limitarsi ad un generico “controlli lo stress” potrebbe essere di grande aiuto nei cardiopatici particolarmente sensibili a questo fattore. Il rischio è risultato essere più alto per gli uomini che per le donne e particolarmente accentuato per chi aveva avuto in precedenza un infarto o soffriva di scompenso cardiaco o diabete.

Spiegare il fenomeno, ovviamente non è semplice. Solo ulteriori ricerche, come riporta la rivista, potranno davvero svelare il peso della tensione emotiva e quindi offrire un dato certo sull’importanza di impostare specifiche contromisure in senso riabilitativo, anche di tipo farmacologico. Va comunque detto che stando ad uno studio apparso su European Heart Journal si è visto che dopo uno stress acuto, come appunto quello di una persona che si trova a parlare in pubblico con limitatissima preparazione, nell’animale si ha una rapida diminuzione dei globuli bianchi nel sangue. Queste cellule non scompaiono, ma possono andare a depositarsi, con la loro azione che facilita l’infiammazione, anche sulle placche aterosclerotiche e quindi agiscono sulle lesioni dell’endotelio (strato più interno della parete delle arterie) peggiorando la situazione ed accentuando i pericoli che le placche stesse si rompano, determinando il blocco alla circolazione del sangue.

Sul fronte delle contromisure, peraltro, contrastare lo stress dopo un evento cardiovascolare appare di grande importanza. Basti pensare in questo senso ai risultati di una ricerca coordinata da James Blumenthal, dell’Università Duke di Durham, apparsa qualche tempo fa su Circulation. Nei soggetti sottoposti a riabilitazione cardiaca grazie a tecniche specifiche di gestione dello stress si avrebbe un dimezzamento delle complicanze. Lo studio ha preso in esame solo 151 pazienti sottoposti a tre mesi di percorso riabilitativo mirato a contrastare lo stress, misurato attraverso test specifici per depressione, ansia, rabbia e simili. Chi ha seguito il percorso “anti-stress” ha avuto nel periodo di osservazione di tre anni un evento cardiaco fatale o comunque tale da richiedere un ricovero. Quando si è fatto solamente il percorso riabilitativo fisico, la percentuale sale al 33% per cento e arriva poco sotto al 50% in chi non ha seguito alcun percorso riabilitativo.