Il cuore inizia a battere forte. Capita a tutti, magari prima di un esame, quando andiamo ad un colloquio di lavoro, quando stiamo per incontrare il nostro lui o la nostra lei, quando ci agitiamo al cinema. E subito si pensa al cervello, come guida di queste classiche reazioni d'ansia. Ebbene, se sospettate che sia sempre e comunque il sistema nervoso a dominare la situazione, forse dovrete ricredervi. Come dicevano gli artisti e come ci ricordano tante canzoni con la classica rima "cuore-amore", relegare le reazioni emotive al solo controllo cerebrale può essere riduttivo.
Il motore delle reazioni? Il cuore
Proprio il cuore, e proprio come nelle canzoni, sarebbe in grado di rappresentare il "motore" e lo stesso attivatore delle reazioni del corpo di fronte ad uno stimolo. A disegnare questo percorso, dando al cuore ciò che è del cuore, sicuramente più romantico e meno pragmatico, è una ricerca dei bioingegneri dell'Università di Pisa in collaborazione con l'Università di Padova e l'Università della California di Irvine, apparsa sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze, PNAS. Lo studio analizza il meccanismo che ci porta a provare una specifica emozione a fronte di determinati stimoli, individuando nel cuore la radice delle emozioni, ed apre prospettive importanti in termini di possibili approcci ad ansia e depressione, che si associano spesso a rischio cardiovascolare aumentato.

La frequenza cardiaca aumenta e ci viene l'ansia
Insomma: la ricerca metterebbe in linea il famoso concetto dell'uovo e della gallina, applicato al batticuore. Stando a questa teoria periferica delle emozioni, insomma, non ci verrebbe la tachicardia perché abbiamo paura, ma piuttosto accadrebbe il contrario. Sarebbe proprio l'aumento della frequenza cardiaca ad innestare una reazione d'ansia che poi si trasforma in vero e proprio timore, con sintomi fisici e psicologici.
Modelli matematici
Lo studio ha impiegato modelli matematici complessi applicati ai segnali elettrocardiografici ed elettroencefalografici in soggetti sani durante la visione di filmati con contenuto emotivo altamente spiacevole o piacevole. I ricercatori hanno così scoperto che nei primi secondi lo stimolo modifica l'attività cardiaca, che a sua volta induce e modula una specifica risposta della corteccia. Un continuo e bidirezionale scambio di informazioni tra cuore e cervello sottende quindi l'intera esperienza cosciente dell'emozione e, soprattutto, della sua intensità.

Il legame tra disturbi affettivi e patologie cardiache
"La scoperta può avere delle ricadute molto rilevanti sulla comprensione dei disturbi psichici e sulla loro relazione con la salute fisica - conferma Claudio Gentili, del Dipartimento di Psicologia Generale e Centro per i Servizi Clinici Psicologici dell'Università di Padova - e può spiegare perché soggetti con disturbi affettivi, come la depressione, sono associati ad una maggior probabilità di sviluppare patologie cardiache, o, viceversa, tra soggetti con problemi cardiaci quali patologie coronariche o aritmie si riscontra un incremento di ansia e depressione. Il nostro lavoro, oltre a riportare in auge la teoria della genesi periferica delle emozioni, conferma le più recenti posizioni neuroscientifiche che propongono di superare il dualismo tra il cervello inteso come organo esclusivo della mente e il corpo, suggerendo come noi non siamo (solo) il nostro cervello". Insomma: si accende una luce in più sul complesso rapporto tra cuore e psiche, con il primo che potrebbe "dominare" sulla seconda tanto da essere la fonte dei problemi fisici legati alla tensione o all'ansia.
