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Curate l’ipertensione con beta-bloccanti? Forse siete meno aggressivi

Curate l’ipertensione con beta-bloccanti? Forse siete meno aggressivi
Questi farmaci sono usati per la cura della pressione alta, dello scompenso e delle aritmie. A volte aiutano chi soffre di emicrania o ha problemi alla tiroide. Secondo una ricerca chi segue queste terapie gestirebbe meglio l’aggressività
2 minuti di lettura

A volte gli effetti collaterali di una terapia non emergono negli studi clinici, ma diventano evidenti quando ad assumere la cura sono milioni di persone. E non sono necessariamente negativi. Può capitare anche che un farmaco studiato per un'indicazione si riveli poi utile per affrontare quadri patologici diversi, per una sorta di "serendipity". Oggi sotto la lente di ingrandimento in questo senso ci sono i beta-bloccanti, medicinali molto usati in ambito cardiologico (e non solo) per la loro azione sulla pressione arteriosa, sulla frequenza cardiaca e sullo scompenso. Una ricerca condotta in Svezia e pubblicata su PLOS Medicine dimostra che negli individui che usano agenti beta-bloccanti si osserva un calo dell'aggressività e della violenza quando assumono le terapie rispetto ai periodi in cui non assumono il farmaco. L'ipotesi di lavoro è quindi chiara: in futuro i beta-bloccanti potrebbero essere considerati un modo per gestire l'aggressività e l'ostilità in individui con condizioni psichiatriche.

Come funzionano questi farmaci

I beta-bloccanti sono attivi su particolari recettori diffusi nei vasi sanguigni, ma anche in altre zone del corpo, su cui agiscono le catecolamine. In pratica, quindi, contrastano lo stress inibendo l'azione dell'adrenalina e della noradrenalina, attraverso il blocco dei recettori (ne esistono di diversi tipi e vengono definiti recettori beta-adrenergici di tipo 1, 2 e 3), contribuendo a ridurre notevolmente la forza di contrazione e la frequenza cardiaca. In questo senso, proprio interrompendo gli effetti dell'adrenalina, i beta-bloccanti consentono al cuore di pompare il sangue con maggior regolarità, di ridurre la pressione. Ma soprattutto, contrastando gli effetti dello stress, tendono a rendere più calmo chi li assume. Sono nate così tante ipotesi di lavoro che fanno pensare ad un impiego di queste cure anche per il trattamento dell'ansia, della depressione e addirittura di alcune forme di fobia. Al momento in ogni caso si usano questi farmaci per trattare l'ipertensione, l'angina, le aritmie, alcune patologie cardiovascolari acute e croniche.

Cosa dice la ricerca

Lo studio ha preso in esame 1,4 milioni di persone in Svezia seguite per otto anni, confrontando ciò che accadeva loro quando erano trattate farmacologicamente con beta-bloccanti e quando invece sospendevano le cure. L'indagine è stata coordinata da Seena Fazel dell'Università di Oxford insieme ad esperti dell'Istituto Karolinska, in Svezia. Quando i soggetti erano trattati con farmaci di questa classe si è registrato un rischio inferiore del 13% di essere accusati di un crimine violento da parte della polizia. Ma non basta: è stato segnalato un rischio inferiore dell'8% di ricovero ospedaliero a causa di un disturbo psichiatrico.

Il possibile meccanismo "tranquillizzante"

Sia chiaro. Per gli esperti, questa osservazione non è una sorpresa.  "L'efficacia dei beta-bloccanti nei confronti dei comportamenti aggressivi deriva dalla loro capacità di modulare ed "attutire" gli effetti di un sistema detto adrenergico che ha molte funzioni di controllo cardiovascolare, ma che è parte integrante anche della reazione di difesa davanti al pericolo ed alla aggressione fisica, ma anche ambientale e verbale - segnala Claudio Borghi, direttore della Medicina Interna presso il Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna". Il blocco di questo sistema sistema rende pertanto più razionali e meno istintivi. Come? "Bloccando la interazione tra i mediatori circolanti della aggressività (le catecolamine) e i loro punti di attacco a livello di cuore, vasi, ma soprattutto cervello, dove risiedono i centri del comportamento reattivo - precisa lo studioso".

Un futuro da studiare

Siamo solo agli inizi di un percorso, che pure nel tempo ha visto sviluppare diverse teorie con associati studi sul potenziale ruolo di questa classe di farmaci nel trattamento di problematiche come ansia, depressione o simili. In questo caso, nella ricerca si rileva come il meccanismo di azione secondo cui i beta-bloccanti potrebbero intervenire sull'aggressività non si possa comprendere completamente. Si parla comunque di una potenziale lieve sedazione, con maggior "tranquillità" da parte del paziente, o di un possibile intervento sulla modalità di interazione tra il sistema nervoso e alcuni neurotrasmettitori. Ma ci vorrà tempo. Per comprendere al meglio il ruolo del beta-bloccanti nella gestione dell'aggressività e della violenza saranno necessari, ulteriori studi. Ma è una strada da seguire. Fazel segnala che "ripensare all'uso di questi farmaci per gestire l'aggressività e la violenza potrebbe migliorare i risultati nei pazienti".