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Per l’ipertensione resistente, ecco gli ultrasuoni che "calmano" i nervi nel rene

A volte i farmaci non bastano a rimettere in riga i valori pressori. E si può parlare di ipertensione resistente. Con la denervazione renale si può affrontare il quadro, ora anche con gli ultrasuoni. Ma è lo specialista a valutare se servono i trattamenti non farmacologici
2 minuti di lettura

Un finissimo sondino viene inserito in un vaso della gamba o del polso. Poi, piano piano, giunge fino al rene. Una volta giunto alla meta, il dispositivo rilascia ultrasuoni che in qualche modo funzionano come un vero e proprio "ansiolitico mirato". Grazie a questo trattamento, si punta infatti a disattivare selettivamente alcune terminazioni nervose che si trovano lungo le pareti esterne delle arterie renali. E così facendo si induce una riduzione protratta della pressione quando davvero i farmaci non sono sufficienti a riportare i valori di massima e minima ai livelli desiderati dal medico in base al rischio del soggetto.

Questo approccio, che già si esegue da tempo con altre modalità come la radiofrequenza, funziona anche con la somministrazione di semplici ultrasuoni. A dirlo è una ricerca che ha visto alleati studiosi delle Università della Columbia e di Parigi, apparsa su JAMA Cardiology. Stando ai risultati dello studio, il dispositivo che rilascia ultrasuoni potrebbe consentire di ridurre mediamente di oltre 8 punti i valori di pressione nei soggetti di mezza età, in associazione ai trattamenti e a stili di vita sani.

Quanto aiuta agire sui nervi

I dati presentati nello studio si riferiscono ad oltre 500 pazienti in età adulta, con ipertensione di vario grado e sottoposti a trattamenti farmacologici, ottenuti in tre diversi trial.  Rispetto ai gruppi di controllo che hanno solo proseguito il trattamento precedente, è stato pressoché doppio il numero di pazienti che hanno raggiunto i valori pressori proposti sotto ai 135/85 millimetri di mercurio. "Il risultato - come rileva Ajay Kirtane dell'Università Columbia, tra gli autori della ricerca - è risultato quasi identico nei diversi gruppi di studio, il che dimostra definitivamente che il dispositivo può abbassare la pressione sanguigna in un'ampia popolazione di pazienti.

Il trattamento, per ora ancora in fase di valutazione, è risultato ben tollerato. La maggior parte dei pazienti dei pazienti inserita nello studio non ha dovuto soggiornare in ospedale la notte successiva alla terapia. Il trattamento va a "spegnere" l'attività del sistema nervoso simpatico che ha un'influenza sulla pressione. Infatti i segnali nervosi diretti ai reni contribuiscono a regolare il flusso sanguigno renale, la ritenzione dei sali e l'attivazione del sistema renina-angiotensina, che interagisce con la pressione. In direzione opposta, i segnali che dai reni vanno verso il sistema nervoso mettono in molto meccanismi che possono favorire l'aumento pressorio. Con la denervazione renale si cerca di smorzare l'attività lungo questa via a due direzioni.

Come si riconosce l'ipertensione resistente

I trattamenti di denervazione renale, siano essi già disponibili ed ampiamente testati con risultati positivi come quelli a radiofrequenza o di prossimo impiego in clinica, debbono essere impiegati con appropriatezza. Occorre cioè che le persone potenzialmente trattabili abbiano una chiara diagnosi di ipertensione resistente: in termini generali si parla del quadro quando non si ottiene un valido controllo dei livelli di pressione sistolica e diastolica utilizzando addirittura tre diversi farmaci al massimo dosaggio tollerato, con un diuretico a far parte del cocktail.

Poi occorrono altri accertamenti, come il monitoraggio pressorio delle 24 ore, la sicurezza che il paziente segua con cura i trattamenti prescritti, la risposta emotiva alla visita del medico, l'eventuale presenza di ipertensione legata ad altri meccanismi, quindi secondaria.

Importante è quindi distinguere tra ipertensione "non controllata" e ipertensione "resistente. Esistono comunque tanti farmaci sicuri e di solito efficaci per cui prima di parlare di ipertensione veramente resistente usi lo specialista può anche approcciare il quadro con più medicinali.

Perché l'ipertensione resistente è pericolosa

La presenza di ipertensione resistente, quindi di livelli pressori costantemente superiori a quelli desiderati, può rappresentare un pericolo aggiuntivo per chi già presenta profili di rischio elevati per patologie cardiovascolari, come infarto o ictus. Per capire il peso di questo parametro si può far riferimento ad uno studio che ha compreso più di 200.000 pazienti: in presenza di ipertensione resistente il rischio di andare incontro ad infarto miocardico non fatale, scompenso cardiaco, ictus e patologia renale era del 47% maggiore nei quasi quattro anni di osservazione.

Un'altra ricerca su quasi 400.000 persone rivela che se c'è ipertensione resistente sale di oltre il 30% il rischio di insufficienza renale cronica e del 14% quello di ictus.