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Ma perché ci sono più placche sulle coronarie di chi corre maratone o fa sport di resistenza?

L’attività fisica fa bene. Ma occorre regolarsi. Chi fa maratone, triathlon o simili potrebbe avere più calcio depositato nelle coronarie. Importante non esagerare con gli sforzi e mantenersi sotto controllo
2 minuti di lettura

L’attività fisica protegge sul fronte cardiovascolare. Non ci sono dubbi. Ma richiedere troppo al corpo, soprattutto quando si è andati avanti tutta la vita con esercizi di resistenza che impongono sforzi di lunga durata più volte la settimana, può comportare un incremento delle placche aterosclerotiche sulle arterie rispetto a chi ha iniziato a fare sport più tardi o comunque si muove con meno intensità. Un paradosso? Forse. Ma occorre tenere presente la situazione. Ricordiamo che muoversi è salutare. Ma ci vuole sempre giudizio. A segnalare il rischio per gli atleti più anziani è lo studio MASTER@HEART, apparso su European Heart Journal e coordinato da Ruben De Bosscher, dell’Ospedale Universitario di Lovanio. Dall’indagine emerge che chi si dedica a corse lunghe, così come a triathlon e comunque a sport di resistenza per decenni avrebbe una maggior presenza di aterosclerosi delle arterie coronariche e quindi rischio teorico di infarto, rispetto a chi non esagera ma è comunque attento a tenersi in forma, ovvero fa le classiche tre ore di esercizio fisico moderato, come da indicazioni delle linee guida.

Tre gruppi di maschi sotto controllo

Sono stati presi in esame atleti adulti/anziani – l’età media è di 55 anni – con poco meno di 200 atleti di resistenza che hanno fatto sport per tutta la vita, altri che invece hanno iniziato più avanti nel tempo e un’ulteriore popolazione di controllo, non sportiva ma sana. Gli atleti di maratone e simili avevano almeno 36 anni di esercizio di resistenza alle spalle, contro i “soli” 14 anni di chi invece ha iniziato più tardi: sono stati considerati sport di resistenza la biciletta per circa 8 ore la settimana, la corsa oltre 6 ore la settimana e il triathlon (nuoto ciclismo e corsa per almeno 8 ore. Negli atleti si è osservato un maggior valore di CAC (Coronary Artery Calcium, ovvero calcificazione all’interno dei vasi coronarici) con un carico di placca aterosclerotica maggiore rispetto alle popolazioni di controllo. Addirittura si è visto che le placche in questa popolazione di sportivi da lungo tempo erano legate a potenziali restringimenti delle arterie, ovvero stenosi, più serrate.

Siamo di fronte ad un paradosso?

Anche se può sembrare strano, non è la prima volta che si segnala come i maratoneti possono avere un punteggio CAC più elevato rispetto ad un gruppo di controllo sano. E lo studio conferma l’osservazione di precedenti ricerche, che hanno mostrato una maggiore prevalenza di placche aterosclerotiche coronariche tra gli atleti di resistenza altamente allenati rispetto ai non atleti sani.  Eppure a fronte di questa maggior presenza di placche, chi fa sport di resistenza come la maratona ad alto livello è in genere più longevo e presenta una minor incidenza di infarti ed ictus rispetto ai coetanei. Siamo di fronte ad un apparente paradosso che si potrebbe spiegare con le caratteristiche della placca negli sportivi, forse meno pronta a rompersi (a prescindere dalle dimensioni) e quindi a creare lesioni improvvise in grado di causare un infarto.

Importante tenersi in forma

Chi fa esercizio, insomma, non deve pensare di essere immune alla formazione di lesioni nelle arterie coronariche. Ma muoversi regolarmente è di gran lunga più benefico in chiave preventiva rispetto alla sedentarietà.  Quindi non fate l’errore di cedere alla pigrizia, anche se teoricamente le lesioni arteriose potrebbero essere presenti anche in chi fa attività fisiche di lunga durata per decenni. “Non si tratta di un paradosso - spiega Giuseppe Musumeci, Direttore della Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino, a pochi giorni dal via di “Change in Cardiology 3.0”, in programma dal 30 marzo all’1 aprile al Centro Congressi del Lingotto di Torino. L’attività fisica è fondamentale per la salute del cuore e delle arterie, ma deve essere misurata in relazione all’equilibrio generale dell’organismo. È quindi fondamentale, per tutti, prevenire la malattia ateromasica che può colpire non soltanto le arterie del cuore ma anche quelle del collo o degli arti. La malattia dei vasi periferici (la sigla scientifica è PAD) ad esempio, se non trattata adeguatamente può associarsi a gravi problemi clinici fino a ictus e infarto”.