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Sportello cuore

Giornata contro l’ipertensione, perché è importante riconoscerla e come curare al meglio la pressione alta

Giornata contro l’ipertensione, perché è importante riconoscerla e come curare al meglio la pressione alta
In pericolo cuore, cervello e reni. Eppure sottovalutiamo la pressione alta. Molti non sanno di essere ipertesi o non si curano. Fondamentali le terapie su misura, da seguire nel tempo, controllando regolarmente i valori fin da bambini. Ecco tutti i consigli degli esperti
3 minuti di lettura

Attacca il cuore, mettendolo a rischio d'infarto. Ne sfianca le valvole. Lo stanca, favorendo la comparsa dello scompenso. Capitolo cervello e sistema nervoso: aumenta la minaccia di ictus e rende più esposti alla degenerazione con rischio di demenza. Piano piano, poi, riduce la funzionalità dei reni. Purtroppo, tutto questo avviene in silenzio. Così, siamo esposti al danno dell'ipertensione, spesso senza saperlo. E se lo sappiamo, proprio perché non abbiamo sintomi, solo una persona su tre ottiene i risultati voluti. A segnalare questi dati sono gli esperti della Società Italiana dell'Ipertensione Arteriosa (SIIA) in occasione della Giornata mondiale contro l'Ipertensione, in programma il 17 maggio. Previsti in molte città d'Italia numerosi eventi di sensibilizzazione e screening.

La pressione arteriosa si controlla (anche) a tavola

Per dare scacco matto alla pressione alta occorrono tre passaggi: sapere che si è ipertesi, mettersi in trattamento e seguire nel tempo le cure. Magari anche adattando la situazione al singolo paziente, modificando quando necessario i trattamenti. In questo senso va una ricerca condotta dagli esperti dell'Università di Uppsala coordinati da Johan Sundström apparsa su JAMA. Lo studio, su 280 persone, mostra che i pazienti trattati con antipertensivi possono migliorare il controllo della situazione più che raddoppiando il dosaggio del farmaco attuale.  possono sperimentare miglioramenti molto maggiori da un cambio di farmaco rispetto al raddoppio della dose del loro farmaco attuale. 

Quanto conta personalizzare le cure

La ricerca ha previsto l'utilizzo di quattro diversi farmaci. Si è visto che l'effetto del trattamento variava ampiamente da individuo a individuo nel corso di un anno, con la necessità di trattamenti su misura. "Se personalizziamo i farmaci di ciascun paziente, possiamo ottenere un effetto migliore rispetto a quando scegliamo a caso un farmaco da uno di questi quattro gruppi di farmaci - spiega l'esperto". Insomma: in assenza di un marcatore specifico - non possiamo predire la risposta al singolo farmaco anti-ipertensivo.

"Ma occorre ricordare che, pur non potendone prevedere l'efficacia, il clinico sceglierà comunque la molecola più indicata per quel determinato paziente - spiega Claudio Ferri, ordinario di Medicina Interna all'Università de L'Aquila. In aggiunta, mentre cambiare completamente una molecola anti-ipertensiva che non abbia funzionato può avere un senso, ma scoraggia il paziente, specie se asintomatico, ed incrementa il rischio di discontinuazione terapeutica". Infine, una minoranza di pazienti ipertesi deve ricevere una monoterapia come scelta almeno iniziale: quelli con elevazione modesta della pressione arteriosa ed un rischio cardiovascolare inconsistente, i grandi anziani ed i pazienti fragili. "Negli altri, proprio per non incorrere nel fenomeno ben studiato da Sundström, è bene partire ab initio con un cocktail di farmaci - ricorda l'esperto".

L'aderenza alle terapie è fondamentale

In quattro casi su dieci, stando ad una ricerca coordinata da Michel Burnier e resa nota dalla Società Europea dell'Ipertensione (ESH), la terapia per la pressione alta si interrompe. Ed è un problema, considerando che occorre raggiungere un obiettivo prefissato e condiviso tra clinico e paziente, che ovviamente è difficile da ottenere se non si seguono le prescrizioni.

"Già studi condotti da Giuseppe Mancia e Giovanni Corrao dimostravano con chiarezza che si raggiunge più facilmente l'obiettivo se si parte subito con una combinazione fissa di farmaci anti-ipertensivi e che la possibilità che il paziente abbandoni una combinazione fissa è quasi la metà rispetto a quella che lo stesso paziente lasci la monoterapia - precisa Ferri. I motivi? Meno compresse significa maggiore aderenza e persistenza e più molecole in una stessa compressa o capsula si traducono in un miglior controllo pressorio".  Per il resto, il paziente aderisce alla terapia se segue esattamente le raccomandazioni del medico riguardo dosi, tempi e frequenza di assunzione del farmaco per l'intera durata del trattamento. Lo raccontano gli atleti della Nazionale Italiana Jazzisti, sul web, con la serie "Tutti per uno - L'aderenza è un gioco di squadra", campagna di informazione e sensibilizzazione sul tema. 

Quando misurare la pressione e come seguire le cure

Dagli esperti della Società Italiana dell'Ipertensione giungono anzitutto alcuni consigli. In assenza di un familiare che aiuti il paziente se è distratto o poco attento, conviene innanzitutto "agganciare" l'assunzione della terapia ad un singolo atto obbligatorio nella quotidianità, come ad esempio andare al bagno al mattino, lasciando quindi la scatola di anti-ipertensivo in bagno. Utile è anche rendere la scatola ben visibile e comprare un ordinatore settimanale in farmacia. Infine ricordare di attivare un richiamo sul proprio smartphone e, infine, lasciare sempre una riserva di compresse di antipertensivo nel luogo di lavoro. E poi, la parola d'ordine è controllare.

Cuore. Siamo tutti ipertesi? Intervista a Massimo Volpe

"Persistere correttamente in terapia è cruciale, ma ancor più è automisurare la propria pressione arteriosa, con strumenti automatici e validati, sempre usando il braccio e non il polso e restando in posizione seduta, in ambiente tranquillo e ben riscaldato, due-tre volte la settimana in orario disparato - conclude Ferri. Meglio ancora sarà misurarla - almeno quattro volte l'anno - anche in posizione eretta, dopo 1 e 3 minuti dall'essersi alzati. Questo ci permetterà di evitare un nemico subdolo: l'ipotensione ortostatica, comune nell'iperteso anziano e nel paziente con ipertrofia prostatica benigna trattato con alfa-litici e non rara nel paziente diabetico e/o con patologie neurologiche, specie se trattate con farmaci come gli anti-Parkinson". Per chi non è iperteso, meglio non fuggire ai controlli: tutti, ma proprio tutti, anche i bambini, pur "sani come pesci" devono misurare la pressione arteriosa almeno una volta l'anno.