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Diagnosi precoce e intervento mirato sul singolo per la prevenzione delle malattie cardiovascolari su misura

Tre documenti scientifici disegnano come controlleremo il rischio per cuore ed arterie. L'obiettivo è una prevenzione mirata sul singolo, che parta dal danno d'organo. Sempre più avremo trattamenti "cuciti"  per ridurre il pericolo di infarto, ictus e non solo
3 minuti di lettura

Come stanno cuore, cervello e reni? Probabilmente, in futuro, dovremo sempre più abituarci a questa la domanda chiave per definire il rischio cardiovascolare. E magari, anche attraverso test specifici che potrebbero considerare anche lo "scanner" dell'occhio, mettere a punto cure mirate più o meno intense in base al rischio del singolo. Certo è che i percorsi di prevenzione sempre più partiranno dalle condizioni e dalle capacità funzionali di questi e altri organi, esposti alle intemperie dei fattori di rischio cardiovascolari, dal sovrappeso fino all'ipertensione, passando per la sedentarietà, le alterazioni metaboliche a carico di colesterolo LDL e glucosio. Il fumo di sigaretta.

A tratteggiare la necessità di superare la rigida distinzione tra prevenzione primaria e secondaria è un nuovo approccio mirato a migliorare l'assistenza medico-sanitaria verso patologie che provocano, ogni anno solo in Italia, più di 900mila ricoveri ospedalieri. L'invito alle istituzioni e al mondo medico-accademico è contenuto in un documento stilato dalla Consulta delle Società Scientifiche per la riduzione del Rischio Cardio-Vascolare (www.consulta-scv.it).

L'alleanza riunisce 16 diverse Società Scientifiche e ha presentato  il suo lavoro nell'ambito di un workshop dal titolo "Focus su tre grandi temi per il Ssn: Riflessioni e Proposte della Consulta SCV" tenusoti a Roma con il supporto organizzativo di Dephaforum.

Indici di rischio su misura

 "Le malattie cardio-vascolari rappresentano in tutto il Pianeta la prima causa di morte - spiega Giuseppe Mancia, Presidente della Consulta-SCV, Professore Emerito dell'Università Milano Bicocca e Presidente della European Society of Hypertension Foundation. La loro prevenzione rimane di gran lunga la migliore strategia a nostra disposizione per limitarne l'impatto complessivo sul SSN. La prevenzione può essere primaria e comportare interventi sugli stili di vita e altri fattori di rischio. Oppure secondaria e quindi finalizzata all'evitare recidive a persone già colpite da un evento cardio-vascolare. Questa suddivisione ha avuto, e continua ad avere, numerose ricadute positive sulla pratica clinica. Tuttavia presenta dei limiti, che possono essere superati grazie a esami diagnostici più precisi. Oggi sono stati messi a punto biomarcatori del danno d'organo e nuove indagini strumentali come le bio-immagini. Rispetto a pochi anni fa è quindi possibile quantificare e qualificare il danno strutturale e funzionale al sistema cardiovascolare. Per esempio, le tecniche più avanzate ultrasoniche e tomografiche consentono di identificare precocemente lesioni, anche molto lievi, al sistema vascolare del cuore o dei reni o di altri organi. Tutto ciò porta inevitabilmente a importanti ricadute clinico-terapeutiche e opportunità di intervento precoce per tutti i pazienti. Questa maggiore precisione diagnostica consente una tempestiva identificazione del danno d'organo ed una conseguente adeguata quantificazione del rischio. Andrà perciò rivisto il paradigma classico con cui classifichiamo i pazienti, interpretiamo le nostre linee guida e diamo raccomandazioni terapeutiche alla luce del nuovo ruolo assegnato al danno d'organo, il vero nuovo "killer silenzioso".

Attenzione particolare ai fragili

"Un lavoro di aggiornamento va svolto anche per il paziente fragile - sottolinea Giovanni Corrao, direttore del Centro Interuniversitario Healthcare Research and Pharmacoepidemiology -. La Consulta-SCV ha infatti proposto di costituire un gruppo di lavoro interdisciplinare, per studiare questa problematica.  Ogni persona colpita da una patologia cardiovascolare presenta infatti dei livelli diversi di fragilità, che dipendono da diversi fattori come la complessità clinica, la suscettibilità biologica e anche la vulnerabilità sociale. Sono tutti elementi che devono essere tradotti in un piano assistenziale individualizzato che tenga poi conto dei singoli aspetti d'ogni malato. Questo vale soprattutto nella gestione clinica e assistenziale della cronicità, condizione che interessa un numero crescente di pazienti".  

Occhio alla malattia delle vetrine

C'è un ulteriore documento, dedicato all'arteriopatia periferica degli arti inferiori, spesso definita "malattia delle vetrine" perché chi ne soffre, a causa del mancato apporto di sangue ed ossigeno, si trova costretto a fermarsi dopo aver camminato per un tratto più o meno lungo. come appunto se guardasse oggetti in una vetrina.

"È una patologia decisamente trascurata anche se può interessare fino al 10% della popolazione adulta - segnala Adriana Visonà, Direttore UOC Angiologia Azienza ULSS 2, Marca Trevigiana Regione Veneto. Si caratterizza per una forte riduzione dell'afflusso di sangue e dell'ossigeno alle arterie degli arti inferiori, a causa dell'ostruzione o restringimento dei vasi sanguigni. La malattia inoltre non si presenta sempre con sintomi specifici. Un paziente con questa condizione presenta un rischio sei volte maggiore di eventi cardio-vascolari, tra cui l'infarto e l'ictus. Si calcola che l'arteriopatia periferica degli arti inferiori aumenterà in modo significativo nei prossimi 20 anni, anche a causa dell'invecchiamento generale della popolazione".

"Per fortuna esistono diverse tipologie di terapie in grado di contrastarla efficacemente - aggiunge Walter Marrocco, Responsabile Scientifico della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia/FIMMG e Coordinatore della Consulta-SCV. Come Consulta siamo però assolutamente convinti che l'arteriopatia si possa sconfiggere anche grazie a nuove campagne di sensibilizzazione che ne aumentino la consapevolezza tra la popolazione. Infine, va resa sistematica la collaborazione multidisciplinare e multiprofessionale di tutti il personale medico coinvolto nel percorso di cura".