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L’infarto cardiaco danneggia il cervello, che perde colpi e invecchia più rapidamente

L’infarto cardiaco danneggia il cervello, che perde colpi e invecchia più rapidamente
Uno studio osservazionale rivela che l'ischemia cardiaca si associa ad un declino più veloce della salute cerebrale. Con impatto negativo sulla cognizione e sulla memoria. Prevenire l'attacco cardiaco aiuta il benessere del cervello
2 minuti di lettura

Se non siete abbastanza attenti alla prevenzione cardiovascolare, ora avete un motivo in più per far fronte a colesterolo alto, ipertensione, sovrappeso, diabete e agli altri tanti nemici di cuore ed arterie. Se riuscite a ridurre il rischio di andare incontro ad un infarto, infatti, probabilmente il vostro cervello vi ringrazierà. E continuerà a lavorare al meglio per un tempo più lungo di quello di un vostro coetaneo che invece ha dovuto fronteggiare un'ischemia cardiaca.

A dirci come cuore e mente siano strettamente collegati, pur se senza trovare una causa certa di questo rapporto tra benessere cardiaco e funzione cerebrale, è una ricerca che appare su JAMA Neurology, condotta dagli esperti dell'Università Johns Hopkins. Lo studio è arrivato a dimostrare che in caso d'infarto, si ha una più rapida degenerazione dell'attività del cervello.

I risultati parlano chiaro

Che cuore e cervello siano strettamente collegati, va detto, non è una novità. E non solo perché condividono fattori di rischio che in qualche modo mettono a repentaglio la salute di entrambi gli organi.

Basti pensare in questo senso ai risultati di una ricerca apparsa qualche tempo fa su JAMA Network Open, condotta dagli esperti dell'Università della California di Davis. L'indagine mostrava chiaramente che se c'è ipertensione già in giovane età, intorno ai 30 anni, il cervello verso i 70 anni appare più piccolo (con dimensioni ridotte di alcune aree cerebrali) ed una sostanza bianca più sofferente, in confronto ai non ipertesi da giovani. Questi due parametri vengono associati al decadimento cognitivo che peraltro viene osservato anche in questa ricerca.

Gli studiosi ha preso in esame un'ampia popolazione di persone, più di 30.000 monitorate sul fronte della funzione cognitiva in termini di memoria, capacità di ragionamento ed altro, per quasi sei anni e mezzo in media. In questo periodo 1033 soggetti hanno avuto un infarto. Chi è andato incontro a questo "accidente" cardiaco, ha avuto un calo maggiore della capacità cognitiva complessiva, della memoria e della funzione esecutiva negli anni di osservazione rispetto a coloro che non hanno avuto l'infarto.

Fondamentale preservare il cuore

"Proteggere il cuore significa ovviamente proteggere anche il cervello". Non ha dubbi Danilo Toni, direttore dell'Unità di Trattamento Neurovascolare presso il Policlinico Umberto I - Università sapienza di Roma. Secondo l'esperto, va detto possono esserci diversi meccanismi che, magari associandosi insieme, possono spiegare i dati che emergono dallo studio americano. "Dobbiamo sempre ricordare che si tratta di uno studio osservazionale quindi si possono fare solamente ipotesi in questo senso - segnala Toni. Ad esempio si può pensare ad un deficit della perfusione cerebrale che si verifica dopo l'infarto, perché il cuore è meno efficace nel pompare il sangue verso il cervello. Oppure si può ovviamente ragionare in termini di condivisione di fattori di rischio vascolare tra cuore e cervello, come ad esempio accade per l'ipertensione o la dislipidemia. È evidente che in chi presenta alterazioni di questi parametri anche la sofferenza vascolare cerebrale può essere messa in conto".

La morale, in attesa di capire esattamente cosa accade al cervello dopo un infarto cardiaco, è comunque semplice. La prevenzione è l'arma più efficace che abbiamo per diminuire il rischio cardiovascolare, ovviamente insieme alla rapidità nei soccorsi in caso di infarto o ictus. Non dimentichiamolo.