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Post-Covid, un infarto nel lockdown potrebbe accorciare la vita anche di due anni

Post-Covid, un infarto nel lockdown potrebbe accorciare la vita anche di due anni
Ritardi nella diagnosi, minor ricorso all’ospedale, trattamenti meno efficaci. E si è perso tempo. Per questo l’infarto può avere lasciato tracce più profonde nel cuore
3 minuti di lettura

Infarto uguale patologia tempo-dipendente. Arrivare presto, ridando sangue ed ossigeno al cuore, è fondamentale. Prima si riconosce e si affronta l'ischemia, più efficaci sono le cure e minori i possibili esiti a distanza. Ma cosa è successo quanto per il lockdown uscire di casa era un'impresa e magari si sottovalutavano i sintomi dell'attacco cardiaco, con evidenti ritardi nei trattamenti?

Una risposta viene dalla ricerca che appare su European Heart Journal - Quality of Care and Clinical Outcomes, rivista della Società Europea di Cardiologia (ESC). E non è certo incoraggiante. Stando a quanto riporta l'autore dello studio, William Wijns del Lambe Institute for Translational Medicine presso l'Università irlandese di Galway, il solo fatto di avere un infarto durante il lockdown porterebbe a un anno e mezzo o due anni di meno di aspettativa di vita, rispettivamente nel Regno Unito e in Spagna. Ovviamente in confronto ad una sovrapponibile lesione cardiaca nel periodo pre-Covid.

Ma non basta. L'impatto delle lesioni si rivela pesante anche sul fronte economico, con costi aggiuntivi per le economie del Regno Unito e della Spagna sono stimati a circa 41,3 milioni e 88,6 milioni di euro, rispettivamente, in gran parte per assenza dal lavoro. Cosa insegnano questi dati? "Le restrizioni al trattamento di condizioni potenzialmente letali hanno conseguenze negative immediate e a lungo termine per gli individui e la società nel suo insieme - commenta Wijns".

Sotto esame gli infarti Stemi

La ricerca ha confrontato l'aspettativa di vita prevista dei pazienti che hanno avuto un infarto durante il primo lockdown con quelli che hanno avuto un infarto nello stesso periodo dell'anno precedente. Lo studio si è concentrato sull'infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (Stemi), in cui un'arteria che fornisce sangue al cuore è completamente bloccata, con attenzione specifica per i costi oltre che per il quadro clinico.

L'infarto Stemi, a differenza di quello non-Stemi (la definizione si fa sulla base del tracciato elettrocardiografico), viene così definito in base alla forma del tratto ST dell'elettrocardiogramma. Quando l'ischemia è prodotta dall'occlusione totale della coronaria si registra una particolare situazione, ovvero il sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni che "controllano" la parete ventricolare che riceve insufficienti quantità di sangue, cui si associa un sottoslivellamento speculare nelle derivazioni che esplorano pareti prospicienti. Gli esperti hanno sviluppato un modello per stimare la sopravvivenza a lungo termine, la qualità della vita e i costi correlati a questi infarti.

Difficile trattare le emergenze nel lockdown

Per calcolare le proiezioni di sopravvivenza gli esperti hanno considerato l'età, lo stato di ricovero e il tempo al trattamento utilizzando i dati pubblicati per ciascun paese. Ad esempio, utilizzando i dati pubblicati, è stato stimato che il 77% dei pazienti con Stemi nel Regno Unito fosse ricoverato in ospedale prima della pandemia rispetto al 44% durante il blocco. I tassi equivalenti per la Spagna erano del 74% e del 57%. I ricercatori hanno anche confrontato quanti anni in perfetta salute sono stati persi per i pazienti con Stemi.

L'analisi ha previsto che i pazienti che hanno avuto uno Stemi durante il primo blocco nel Regno Unito avrebbero perso in media 1,55 anni di vita rispetto ai pazienti che presentavano un infarto di questo tipo prima della pandemia. Inoltre, da vivi, si prevedeva che quelli con uno Stemi durante il blocco perdessero circa un anno e due mesi di vita in perfetta salute. Le cifre equivalenti per la Spagna erano 2,03 anni di vita persi e circa un anno e sette mesi di vita persi in perfetta salute.

Sul fronte dei costi nel Regno Unito, calcolando un 'incidenza di 49.332 Semi all'anno, accesso ridotto al trattamento con angioplastica durante il primo mese di blocco sarebbe costato 41,3 milioni di euro in più nel corso della vita di questi pazienti. Per la Spagna, il costo aggiuntivo per ogni Stemi durante il blocco è stato stimato in 20.069 euro per un totale di quasi 90 milioni di euro.  Secondo Wins "i pazienti e le società pagheranno il prezzo della riduzione del trattamento dell'infarto durante un solo mese di blocco per gli anni a venire. I servizi sanitari hanno bisogno di un elenco di terapie salvavita che dovrebbero essere sempre erogate e devono essere istituiti sistemi sanitari resilienti che possano passare senza indugio ai piani di emergenza".

Calo dei ricoveri anche in Italia

Qualche tempo fa, sull'European Heart Journal sono stati pubblicati i dati relativi all'analisi condotta dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC) sull'impatto clinico di questa situazione. Ciro Indolfi, all'epoca Presidente, commentava il peso della riduzione dei ricoveri urgenti per patologie cardiovascolari nel primo periodo della pandemia da Covid. "Circa il 50% dei pazienti con infarto, scompenso cardiaco e altre gravi patologie acute non sono andate in ospedale, o sono andati in ritardo, per paura del contagio e questo ha triplicato la mortalità ospedaliera per infarto Stemi - segnala Indolfi". Oggi, anche sulla scorta dei nuovi dati, occorre sempre ricordare quanto la tempestività dei soccorsi e il rapido accesso ai trattamenti sia la variabile che consente di cambiare la storia dell'infarto. Se si arriva presto, si riesce ad aprire l'arteria occlusa e si ridà sangue al miocardio colpito dall'ischemia, si possono salvare più vite. E si possono avere esiti meno pesanti per chi supera l'attacco cardiaco.