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il commento

Donne, vittime due volte: dirci cosa fare non risolve il problema della violenza

Il caso dell’opuscolo di Cividale riaccende l’attenzione su un fenomeno sociale pericoloso: il victim blaming, l’idea che la vittima sia corresponsabile di quanto successo. Così si trasferisce solo la colpa dall’oppresso all’oppressore

Viriginia Gomiselli
Aggiornato alle 1 minuto di lettura

Una vittima di stupro, spesso, è vittima due volte. La prima è quando, contro la sua volontà, viene coinvolta in un rapporto sessuale. La seconda è nel momento in cui si insinua il dubbio che tanto vittima non è.

I sociologi hanno nominato questo fenomeno colpevolizzazione della vittima – dall’inglese victim blaming - per cui i ruoli si invertono: l’errore commesso viene trasferito dall’oppressore all’oppresso che avrebbe agito in maniera tale da meritare ciò che è successo.



In Italia, purtroppo, il victim blaming è diffuso e alcuni giorni fa ne abbiamo ricevuto l’ennesima prova.
Lo scandalo del vademecum anti-stupro di Cividale ha fatto il giro dell’Italia: gli allievi e allieve delle scuole superiori hanno ricevuto un opuscolo che delineava gli atteggiamenti da evitare per prevenire atti di violenza, come ad esempio “evitare sorrisi o abiti succinti”. La stampa si è concentrata principalmente sul fenomeno di cronaca ma il fascicolo, che ha provocato tanta indignazione, è un chiaro esempio di un grave problema sociale.


Non è la prima volta che l’Italia viene criticata per un comportamento di victim blaming: già nel 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato una sentenza della Corte di Firenze che aveva assolto in appello un gruppo di ragazzi, giudicati per stupro di gruppo.

Il giudice fiorentino ritenne che gli atteggiamenti della vittima avrebbero indotto i ragazzi a “mal interpretate la sua disponibilità”. La Corte di Strasburgo ha affermato che questi argomenti “veicolano i pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana”.

Ce lo confermano i numeri: circa un quarto della popolazione ritiene che attraverso l’abbigliamento le donne possono provocare la violenza mentre il 15% giudica una donna corresponsabile della violenza se ubriaca o sotto effetto di droghe.

Sono dati che rivelano l’esistenza di una grave piaga sociale, che, per essere risolta, deve prima essere riconosciuta; di certo, la soluzione non verrà trovata dicendo alle ragazze cosa fare e cosa non fare.
 

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