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Arte 2.0

Il robot scultore che veste i panni di Michelangelo

Il robot scultore che veste i panni di Michelangelo
Nato in un laboratorio di Carrara, Bot-One può realizzare sculture alte fino a 4,5 metri. Ha lavorato per artisti di tutto il mondo, come Maurizio Cattelan, Jeff Koons, Zaha Hadid, Vanessa Beecroft, Barry X Ball e altri
3 minuti di lettura

Dipingo ciò che non posso fotografare. Fotografo ciò che non voglio dipingere. Dipingo l’invisibile. Fotografo il visibile” diceva Man Ray e oggi potremmo aggiungere “faccio scolpire al robot ciò che posso pensare”.

Bot-One lavora senza sosta sul blocco di marmo, senza preoccuparsi delle schegge e senza stancarsi mai. Il suo braccio è una lega di zinco poggiata su un blocco che protegge le sue parti più delicate dall’ambiente estremo in cui si trova a operare.

La sua mente invece è carica di intuizioni e idee di un artista che potrebbe trovarsi a migliaia di chilometri di distanza e che Filippo Tincolini e Giacomo Massari, fondatori di Robotor, l’azienda che produce Bot-One, hanno tradotto in una serie di istruzioni che il braccio fosse in grado di capire.
Ovviamente tutto questo non poteva che succedere a Carrara, là dove da centinaia di anni proviene il marmo che fu usato anche da Michelangelo e Canova.
Trovare il marmo però era solo l’inizio, poi venivano giorni, settimane, anche anni in cui bisognava lavorare di scalpello e pietra pomice per estrarre dalla roccia la propria visione, col rischio di rovinare tutto per un colpo sbagliato o una frattura invisibile nella pietra.

In alcuni casi a scolpire era direttamente l’artista, in altri gli assistenti facevano il grosso della fatica e poi il maestro di bottega pensava ai dettagli che rendevano l’opera unica.
L’obiettivo di Robotor è sostituirsi agli apprendisti, scaricare l’artista della parte più faticosa, così che abbia più tempo per pensare alle opere, mentre il braccio robotico scolpisce ciò che la sua mente ha pensato. Ma anche riprodurre statue impossibili da spostare.
«Vogliamo aiutare l’artista, non sostituirlo – spiega Massari – la scultura in marmo è un arte che sta scomparendo a causa dei lunghi tempi di lavorazione e delle fatiche necessarie, con noi l’artista deve solo occuparsi di immaginare l’opera e darle il tocco finale, quel gesto di abilità umana che rende la statua un oggetto d’arte».

L’esistenza di Robotor non poteva che scatenare un dibattito nel mondo della scultura, alimentato anche da un articolo del New York Times che titolava “Non abbiamo bisogno di un altro Michelangelo” e raccoglieva le testimonianze di artigiani e scultori scandalizzati.
Ma si tratta solo dell’ennesimo round dell’incontro/scontro tra arte e tecnologia che da sempre accompagna la storia dell’umanità.
D’altronde gli artisti si sono sempre confrontati con la tecnologia, usandola per avvicinare il più possibile il risultato finale all’idea originaria.
L’arte non è mai stata qualcosa di fisso e oggi passa attraverso installazioni video, realtà virtuale, esperienze immersive, quadri proiettati sulle pareti in cui immergersi.

Ogni volta che usa un nuovo strumento si vede costretta a superare un nuovo limite, per l’artista come per il pubblico. Forse tra questi limiti c’è anche quello di guardare con sospetto un aiutante robotico.

«Per noi la polemica non ha senso, gli artisti sono sempre stati aiutati dagli apprendisti e dalle macchine nel loro lavoro. I nostri robot non sono artisti, sono scultori. Chi pensa l’opera è un artista e gli artigiani lo aiutano, in alcuni casi queste due figure sono unite nella stessa persona, ma non sempre è così».
Robotor prevede tre misure differenti per Bot-One, M, L e XL, con la possibilità di realizzare sculture fino a 4,5 metri d’altezza.
E come spesso accade quando si parla di tecnologia, l’hardware è importante ma spesso i grandi balzi in avanti avvengono dove sembrano invisibili, nel software. «Stiamo preparando un sistema di rilevamento intelligente dei blocchi ancora più raffinato – spiega Massari - adesso il robot si autoprogramma, in questo modo è accessibile anche a chi non è un esperto e si azzerano i tempi morti».

Robotor oggi lavora per artisti di tutto il mondo; alcuni preferiscono rimanere anonimi, altri casi sono ben noti: lo hanno usato Maurizio Cattelan, Jeff Koons, Zaha Hadid, Vanessa Beecroft,  Barry X Ball che qualche anno fa commissionò una riproduzione in marmo nero dell’Ermafrodito dormiente esposto al Louvre.
 Vedere Bot-One all’opera è uno spettacolo affascinante, una sorta di installazione artistica a sé stante, un gesto cyberpunk a metà tra la stampa 3D, il plotter e una installazione vaporwave cui manca solo il giusto accompagnamento musicale.

Il contrasto tra la grazia di opere come Amore e Psiche di Canova e la fredda razionalità del braccio meccanico da cui spuntano cavi e pistoni è affascinante, così come il lento e costante movimento della macchina attorno alla pietra che, nascosto dai getti che raffreddano le frese ed eliminano la polvere, sembra quasi accarezzare la superficie per rivelare le forme nascoste al suo interno, proprio come avrebbe voluto Michelangelo. Certo, lui rischiava tutto a ogni colpo di scalpello, qua si rischia un po’ meno.