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I rifugiati Rohingya fanno causa a Facebook: "Ha alimentato l'odio contro di noi"

Una rudimentale imbarcazione usata da profughi Rohingya arenata sulla spiaggia dell'isola Idaman, East Aceh, Indonesia
Una rudimentale imbarcazione usata da profughi Rohingya arenata sulla spiaggia dell'isola Idaman, East Aceh, Indonesia (ansa)
La minoranza musulmana in Myanmar chiede 150 milioni di dollari di risarcimento
1 minuti di lettura
 
I profughi Rohingya hanno fatto causa a Facebook per 150 milioni di dollari, accusando il social network di avere amplificato attraverso i propri algoritmi il 'linguaggio d'odiò contro la minoranza musulmana in Myanmar e di non avere rimosso i post più controversi. Facebook è ampiamente salvaguardato dalle leggi Usa rispetto ai contenuti pubblicati dagli utenti, ma il ricorso presentato a San Francisco da un gruppo di rifugiati Rohingya chiede al tribunale di applicare le leggi di Myanmar, che non offrono questa protezione. Nel ricorso, riferiscono i media Usa, Facebook è accusato di avere "barattato le vite dei Rohingya in cambio di una maggiore penetrazione del mercato in un piccolo Paese del sudest asiatico". I legali hanno anche allegato al ricorso una lettera di diffida presentata alla sede di Londra di Facebook a nome dei rifugiati Rohingya nel Regno Unito.

Nel ricorso si citano le rivelazioni fatte al Congresso Usa da Frances Haugen, l'ex dirigente di Facebook che ha accusato il social network di pratiche scorrette e, tra l'altro, di "no avere imparato dagli errori fatali commessi in Myanmar" nella vicenda del conflitto in Etiopia. "La realtà innegabile è che la crescita di Facebook, alimentata dall'odio, dalle divisioni e dalla disinformazione" ha "devastato le vite di centinaia di migliaia di Rohingya", è scritto nel ricorso. A Nel 2018, un rapporto delle Nazioni Unite rilevò che Facebook aveva giocato un "ruolo determinante" nel diffondere una retorica d'odio in Myanmar, durante le persecuzioni dei Rohingya da parte del governo, oggetto di indagine da parte del Tribunale penale internazionale. All'epoca, il social network si difese, promettendo maggiore attenzione nel controllo dei contenuti. Dopo la notizia del ricorso, i rappresentanti di Meta, la nuova holding proprietaria di Facebook, non hanno rilasciato commenti.