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Il caso Holmes

La startup Theranos era una truffa, condannata la donna che voleva essere Steve Jobs

Elizabeth Holmes
Elizabeth Holmes 
Da Stanford al carisma che ha convinto alcuni grandi investitori, passando per il rapporto tossico con l’ex socio: la parabola dell’ex Ceo e della sua macchina che avrebbe dovuto reinventare le analisi del sangue
5 minuti di lettura

Voleva rivoluzionare il mondo della medicina, più specificamente della diagnostica. Come? Con un dispositivo per le analisi del sangue battezzato Edison, progettato e sviluppato dalla sua startup, chiamata Theranos.

Avrebbe dovuto effettuare esami veloci per più di 200 parametri e fattori, compresa la positività all’Hiv e ai marcatori per alcuni tipi di cancro, a partire da una sola goccia di sangue: una pratica veloce, poco invasiva, da effettuare in luoghi diversi dai soliti centri clinici se non addirittura a casa. Un’autentica rivoluzione. Che però era una truffa.

Per anni Elizabeth Holmes, classe 1984 e appena 19enne all’epoca della nascita della sua azienda, ha venduto la sua scatola vuota a investitori di peso, catene di supermercati e pazienti coinvolti nelle sperimentazioni fino a farle raggiungere la scintillante valutazione di 9 miliardi di dollari. Poi, il 15 ottobre 2015, anche grazie a una muscolosa inchiesta del Wall Street Journal firmata dal giornalista John Carreyrou (che avrebbe scritto un libro sull’incredibile vicenda, intitolato Una sola goccia di sangue), il castello di carte ha iniziato a crollare. Fino alla sentenza emessa dal giudice Edward Davila: Holmes è stata condannata per 4 degli 11 capi d’accusa per cui si trovava di fronte al tribunale federale di San Jose, in California. Rischia vent’anni di carcere.

Chi è Elizabeth Holmes e quando è iniziata la storia di Theranos
Conviene partire dall’inizio di questa storia incredibile e così sanguignamente seguita negli Stati Uniti. Forse perché, con un buon numero di anni di distanza, appare simbolicamente come un processo non tanto e non solo a Holmes (che nel corso dei quasi 4 mesi di udienze ha fatto di tutto per difendersi a dovere, in parte convincendo molti dei 12 giurati, di cui 8 uomini), ma alla sbornia da startup che soprattutto in quegli anni d’inizio Duemila sono riuscite a piazzare immaginifiche promesse senza che ne seguissero prodotti e servizi concreti. Ciononostante raggiungendo spesso valutazioni miliardarie, creando danni di vario tipo, alimentando pericolose bolle speculative e minando la fiducia di cittadini e investitori. Insomma, una specie di resa dei conti.

Figlia di un ex vicepresidente del colosso energetico Enron, Holmes creò Theranos nel 2004, dopo avere lasciato gli studi a Stanford. Il primo gettone del capitale della sua creatura furono addirittura i prestiti per le tasse scolastiche. Si trattava di una fase molto diversa da quella attuale: l’iPhone sarebbe arrivato solo 3 anni dopo e l’ubriacatura da Silicon Valley, nonostante la botta delle dot com di pochi anni prima, era entrata in una nuova fase. Non a caso bastarono il carisma di quella giovanissima imprenditrice che nello stile riprendeva le maglie nere dolcevita di uno dei suoi miti (Steve Jobs, ovviamente) e alcuni agganci importantissimi a sostenere l’impresa, che di fatto non fu mai in grado di partorire un dispositivo davvero funzionante e certificato. Se non (prima e unica autorizzazione ottenuta dall’Fda statunitense) per la diagnosi del virus Hsv-1, l’herpes simplex. Un via libera davvero inaspettato, visto con gli occhi di oggi sorprendente e arrivato addirittura nel marzo 2015, a pochi mesi dal collasso.

Elizabeth Holmes
Elizabeth Holmes 

A cosa sarebbe dovuto servire Edison
La cosiddetta “macchina dei miracoli” Edison si sarebbe potuta e dovuta utilizzare fuori dai contesti clinici, per esempio nei supermercati. Holmes riuscì a convincere nel corso degli anni catene importantissime, come Safeway o Walgreens, a stringere accordi e a predisporre spazi per i prelievi di Theranos. Peccato che in quei posti, nei brevi periodi in cui le sperimentazioni ebbero luogo, il gruppo non utilizzò mai il proprio macchinario: per onorare quegli stessi accordi piazzò macchinari tradizionali per le analisi del sangue, fatti lavorare su campioni inadeguati composti da poche gocce di sangue e fornendo risultati del tutto inaffidabili, in certi casi mettendo in pericolo la vita dei pazienti e fornendo esiti scorretti. Il punto centrale dell’accusa era questo: Holmes avrebbe sempre saputo che il dispositivo non funzionava, che era una scatola vuota, ma avrebbe comunque proceduto nella raccolta di finanziamenti e nella proposta commerciale. Mettendo a rischio i soldi di chi ci ha scommesso nel corso degli anni e anche la salute dei pazienti coinvolti nei test. Una parte dell’impianto accusatorio, quella sui finanziamenti, ha retto portando alla condanna su 4 degli 11 capi d’imputazione. L’altra, quella relativa alla sicurezza dei pazienti, no. E vedremo anche di capire come mai.

I finanziatori di lusso
Nel corso degli anni, Theranos riuscì a convincere non solo i direttori di numerosi magazine lifestyle e dedicati al business ai 4 angoli del globo, garantendo a Holmes copertine che la definivano “La nuova Steve Jobs”, ma anche una serie di nomi impensabili e del tutto a secco di conoscenze mediche approfondite: tra i finanziatori dell’ex startup, infine liquidata nel 2018, spuntano i nomi di Henry Kissinger e John Schultz, due ex segretari di Stato americani, Betsy DeVos, imprenditrice ed ex segretaria all’Istruzione sotto Donald Trump, e il generale James Mattis, ex comandante delle forze americane in Afghanistan e Iraq ed ex ministro della Difesa. Non solo: a fidarsi delle parole e del carisma di Holmes furono anche il tycoon australiano Rupert Murdoch, che ci scommise circa 125 milioni di dollari, e gli ex senatori Sam Nunn e Bill Frist.

Le catene commerciali e sanitarie e il ruolo di Sunny Balwani
Come detto, anche alcune grandi catene finirono nella macchina progettata da Holmes e dall’ex presidente di Theranos, il 56enne di origini pachistane Ramesh Sunny Balwani, con cui la donna ebbe una relazione. Balwani andrà a breve a processo separatamente per accuse simili, ma è stato più volte coinvolto dalla difesa dell’ex Ceo in diverse fasi delle indagini e del procedimento: secondo Lance Wade, difensore di Holmes, quest’ultima avrebbe subìto dall’uomo abusi sessuali e psicologici che l’avrebbero condotta ad assumere scelte e azioni, anche a livello societario, contro la sua volontà.

Tornando alle sigle commerciali coinvolte, nel 2012 Safeway investì 350 milioni di dollari per riadattare 800 magazzini con aree prelievi dedicate, salvo poi cancellare l’accordo. L’anno dopo fu il turno di Walgreens. L’ultimo anno prima della caduta, il 2015, vide l’arrivo della Cleveland Clinic e delle assicurazioni private AmeriHealth Caritas e Capital BlueCross. Mai, invece, sono caduti nel tranello altri grandi nomi della farmaceutica come Pfizer e Novartis, tirati in ballo da Holmes nel corso del processo: a quanto risulta, sarebbero semmai stati vittime di truffe e imbrogli, visto che per convincere investitori riluttanti l’ex startup diffuse documenti fasulli contenenti il logo contraffatto di Pfizer.

Il pasticcio del database di Theranos
Uno degli ultimi elementi controversi dell’indagine, che ha probabilmente fruttato l’assoluzione per i capi d’imputazione legati alla salute dei pazienti, riguarda il database contenente dati e risultati dei test dei pazienti sottoposti alle analisi da parte di Theranos. Il gruppo, senza sottrarsi alle procedure, nel 2018 ne consegnò una copia alla Procura prima di cancellarlo definitivamente dai server della società. All’epoca Theranos era ormai travolta dalle inchieste giudiziarie, amministrative (come quella della Security and Exchange Commission, la Consob americana) e giornalistiche, finanziariamente decotta e alla ricerca di accordi con i vecchi partner, con una valutazione crollata a zero dollari e prossima al fallimento, dichiarato in effetti nel settembre 2018. Si trattava tuttavia di un archivio cifrato che la Procura, anche a causa del tempo trascorso fra la consegna e i tentativi di accesso (secondo la difesa) o per la cattiva fede degli ex dipendenti di Theranos (per l’accusa), non è mai stata in grado di decrittare e consultare. Secondo la Procura, avrebbe permesso di provare come il tasso di errore dei sistemi di analisi del sangue superasse il 50% e in definitiva di produrre la prova-chiave della consapevolezza di Holmes rispetto al fallimento di Edison e dell’intera impresa avviata molti anni prima. Alla fine alcuni dei pazienti, pur con delle limitazioni sulle proprie dichiarazioni, sono stati comunque ascoltati dalla giuria.

Un finale da blockbuster
“Ha scelto la frode sul fallimento economico. Ha scelto di essere disonesta con gli investitori e con i pazienti”, ha detto nella sua arringa conclusiva il procuratore Jeff Schenk. “Una fine da blockbuster per un processo blockbuster” ha commentato sul Washington Post la storica Margaret O’Mara, autrice del volume The Code: Silicon Valley and the remaking of America. Ancora: “Elizabeth Holmes è entrata nella storia come una rara amministratrice delegata della Silicon Valley e la più giovane miliardaria che si è fatta da sé, almeno sulla carta. Ora fa di nuovo la storia come il primo Ceo della Silicon Valley a essere condannato per un crimine da colletti bianchi". L’ex fondatrice di Theranos potrà ora impugnare la condanna o la sentenza, oppure entrambe.