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Riforme

Il Senato americano vuole smantellare gli app store di Apple e Google

Il Senato americano vuole smantellare gli app store di Apple e Google
La Commissione giustizia vota a favore della legge di riforma dell'attuale modello di distribuzione delle applicazioni. Cupertino e Mountain View si oppongono: “Ne deriveranno problemi per privacy e pessime esperienze per gli utenti”
3 minuti di lettura

Un primo segnale da parte di Apple era arrivato pochi giorni fa, quando la Mela aveva spiegato che sarà consentito pubblicare sul suo App Store anche applicazioni “non elencate”. Cioè non indicizzate ma raggiungibili solo tramite un link diretto. Poca roba. Gli app store, i negozi digitali che hanno segnato l’app economy dal lancio dell’iPhone, potrebbero infatti presto dover cambiare in profondità. La Commissione giustizia del Senato statunitense ha infatti appena approvato un disegno di legge che affronta proprio le restrizioni imposte da Cupertino e Mountain View agli sviluppatori delle app che popolano i nostri smartphone.

 

Che cos’è l’Open App Markets Act

La Commissione ha votato a favore dell’Open App Markets Act, consentendo dunque di far proseguire l’iter per la discussione e il voto in aula, con un risultato di schiacciante maggioranza bipartisan: 20-2. Gli unici due voti contrari sono stati dei due repubblicani Coryn, Texas, e Tillis, Carolina del Nord. Il provvedimento si allinea a un altro che in realtà è più ampio, approvato il mese scorso: l’American Innovation and Choice Online Act, che affronta anche altri ambiti del business digitale proibendo ad esempio alle grandi compagnie di proporre i propri servizi o prodotti con più evidenza rispetto a quelli dei concorrenti. 

Qui, però, ci interessa la sorte degli app store, quegli hub da cui scarichiamo (e su cui scopriamo) milioni di applicazioni praticamente per ogni attività quotidiana, creativa, finanziaria o ludica. Secondo il disegno di legge gli app store con più di 50 milioni di utenti (dal territorio statunitense) non potranno più richiedere agli sviluppatori delle app di usare i sistemi di pagamento interni della piattaforma come condizione obbligatoria per l’approvazione e la distribuzione.

Via libera al “sideloading”

La proposta vede fra i primi firmatari il senatore Richard Blumenthal, democratico del Connecticut, e la senatrice Marsha Blackburn, repubblicana del Tennessee, fra l’altro anche ai vertici della sottocommissione per la protezione dei consumatori: secondo la bozza sarà vietato ai proprietari e gestori di questi enormi hub di boicottare o sanzionare in qualche modo gli sviluppatori che dovessero offrire le loro applicazioni a prezzi differenti su store differenti. In più, imporrebbe loro - come ad esempio Apple ha già cominciato a fare in alcuni mercati - di consentire agli sviluppatori di raggiungere direttamente i propri utenti per legittimi scopi commerciali.

Si tratta insomma di una risposta molto forte non solo all’ormai arcinota querelle giudiziaria che contrappone Apple a Epic Games sull’universo di Fortnite ma anche ad altre simili cause, appelli o proteste sollevate negli ultimi anni da altre piattaforme come Spotify, Tile, Match Group o Basecamp sulle commissioni del 30% (tagliate al 15% da Apple per gli sviluppatori con fatturato inferiore a un milione di dollari) trattenute dai due colossi per abbonamenti o acquisti in-app, sull’impossibilità di comunicare direttamente con gli utenti di questioni commerciali.

 

La posizione di Apple e Google: “A rischio la privacy degli utenti”

Ovviamente i due giganti si sono opposti all’attuale formulazione del disegno di legge, denunciando i rischi per la privacy derivanti da questa deregolamentazione selvaggia e quindi una peggiore esperienza per gli utenti. La loro tesi è che gli app store non sono solo distributori di applicazioni ma curatori a tutto tondo: le controllano, le analizzano, cercano di verificarne al meglio l’appropriatezza per specifiche fasce di età, gestiscono in modo corretto le procedure di pagamento e così via. Un lavoro che, sostengono, non sarebbe fattibile con l’invasione di milioni di app che non fossero costrette ad aderire a una serie di vincoli e condizioni per poter lavorare attraverso l’App Store o addirittura scaricabili su iPhone da marketplace esterni.

"Questo disegno di legge potrebbe distruggere molti vantaggi per i consumatori che al momento sono forniti dagli attuali sistemi di pagamento nonché distorcere la concorrenza esentando le piattaforme di gioco, il che equivale al tentativo del Congresso di scegliere artificialmente vincitori e vinti in un mercato altamente competitivo" ha spiegato Mark Isakowitz, vicepresidente per gli affari governativi e le politiche pubbliche di Google in una dichiarazione prima del voto. La Mela, dal canto suo, ha risposto attraverso una lettera inviata ai vertici della Commissione e firmata da Timothy Powderly, capo degli affari governativi per il continente americano. Prendendo in particolare di mira i social network: “Siamo profondamente preoccupati che la legge, se non modificata, renderebbe più facile per le grandi piattaforme di social media schivare le pratiche a favore dei consumatori dell'App Store di Apple e consentire loro di continuare a lavorare come al solito. Lo farebbe imponendo ad Apple di consentire il sideload di app da piattaforme che non devono essere conformi alle protezioni della privacy a favore dei consumatori dell'App Store".

Chiaro, no? Da una parte la politica che, con un fronte bipartisan ormai molto solido, intende smantellare l’ecosistema degli app store per come lo abbiamo conosciuto finora. Dall’altra Apple e Google che spiegano come da questa “deregulation” (che oggi frutta loro miliardi di dollari) rimarrebbero fuori gli hub di gaming e soprattutto come questa anarchia distributiva e nei pagamenti provocherebbe più rischi che benefici per gli utenti. Un argomento che tuttavia, stando per esempio alle parole della democratica del Minnesota Amy Klobuchar (anche lei fra i promotori del ddl), non sembra far presa. Vedremo come voterà l’assemblea, il cui calendario è piuttosto ingolfato. Sullo sfondo c’è un’altra vicenda che potrebbe convergere sul punto: il dipartimento di Giustizia Usa e 35 procure generali di altrettanti stati hanno infatti rimesso in discussione, con una nuova istanza, la sentenza del processo Epic vs Apple che assolveva la Mela da una serie di capi d’accusa in tema di concorrenza sleale.