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Aveva 74 anni

Addio a Stephen Wilhite, il papà delle gif

Addio a Stephen Wilhite, il papà delle gif
Il formato fu creato nel 1987, ma ha vissuto un’inaspettata nuova vita dai Duemila, integrandosi alla perfezione nel linguaggio di social e chat
2 minuti di lettura

Negli ultimi anni, da quanto era andato in pensione, costruiva trenini nel seminterrato e viaggiava, soprattutto in campeggio, con la moglie Kathaleen: Stephen Wilhite, il papà delle gif, è morto a 74 anni a causa del coronavirus all’ospedale di Milford, in Ohio.

Ha regalato al mondo un formidabile formato grafico (il cui nome si pronuncia “jif” e non “ghif”), il Graphic Interchange Format, nato per veicolare immagini di migliore qualità agli albori di Internet e divenuto poi, in un’incredibile cavalcata durata trent’anni e raccontata da Daily Dot, il contenitore ideale di meme e freddure digitali, integrato in tutte le piattaforme social.

Wilhite ha lavorato su Gif quando era dipendente della CompuServe (una società oggi controllata da America On Line e dunque da Verizon), fra i primi operatori commerciali della Rete, negli anni Ottanta: “Ha fatto tutto da solo - ha spiegato la moglie a The Verge - ci lavorò a casa e dopo averlo perfezionato portò il progetto in ufficio”. Il rilascio di questo formato d’immagine bitmap avvenne esattamente nel giugno del 1987. Si rivelò nel tempo, grazie alla portabilità e al peso contenuto dei file compressi con la tecnica LZW, brevettata anch’essa a metà degli anni ‘80 e di cui costituiva di fatto uno sviluppo, un passepartout del Web dai Novanta in poi. Ma soprattutto oggetto di una riscoperta quasi surreale a partire dagli anni Duemila, in parallelo alla diffusione dei social e alla cosiddetta viralizzazione dei contenuti sfornati dagli utenti. Tanto da fare il successo di alcune piattaforme e app specializzate, come Giphy, poi acquistate come (in questo caso) da Facebook o incluse nei social e nelle chat più importanti, da WhatsApp a Twitter, fino a Slack.

Perché si dice “jif” e non “ghif”

Quanto al lungo e divertente dibattito sulla corretta pronuncia dell’acronimo, se n’è detto molto: la questione fu sciolta dallo stesso Wilhite, che nel 2013 spiegò al New York Times come l’unica pronuncia possibile per il formato d’interscambio grafico fosse “jif”, con una “g” gentile e non troppo marcata, e di certo non l’orribile “ghif”. Con buona pace dei tanti italiani che lo usano credendo di fare bene e darsi un tono e soprattutto dell’Oxford English Dictionary, che all’epoca approvava entrambe le pronunce ma da tempo riporta solo quella prediletta dal suo geniale inventore.

“Ho immaginato il formato nella mia testa e ho iniziato a programmarlo”, spiegò lui all’epoca. E la prima immagine fu quella di un aeroplano.

Il successo e la diffusione di quel formato, e delle immagini animate utilizzate per reagire o rispondere in modo immediato e a volte esilarante alle diverse situazioni (spesso anche autoprodotte a partire da proprie foto o video, visto che esistono centinaia di app per farlo in pochi passaggi) fu certificato ormai 10 anni fa dall’Oxford American Dictionary che nel 2012 nominò “gif” parola dell’anno. Nonostante lo standard per immagini a 8-bit fosse da tempo il formato png, le gif erano già diventate qualcosa di molto diverso. L’anno dopo Wilhite ricevette il Lifetime Achievement Award ai Webby Awards, una specie di Oscar di Internet per il contributo alle tecnologie e ai formati che negli anni hanno dato linfa alla Rete.