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Motori di ricerca

Così Google capisce quello che stiamo cercando

Così Google capisce quello che stiamo cercando
Grazie alle evoluzioni nella sua intelligenza artificiale con gli algoritmi Bert e Mum, Big G è sempre più brava a interpretare il linguaggio: un’innovazione che ha un impatto anche sulla sicurezza
3 minuti di lettura

Secondo Internet live stats, nel tempo che state impiegando per leggere questa riga, nel mondo vengono effettuate circa 200.000 ricerche su Google. Esatto, sono poco meno di 100.000 al secondo, per un totale abbastanza impressionante di oltre 8 miliardi al giorno.

Il numero, in sé, è sorprendente, ma basta riflettere al modo in cui usiamo Big G per renderlo più comprensibile. Lo utilizziamo, di fatto, per qualunque cosa: quando cerchiamo un idraulico per un problema a casa, o un nuovo ristorante in cui uscire la sera o, ancora, per accedere ai nostri siti preferiti. Lo diamo talmente tanto per scontato che quella magia per cui, in un tempo sempre inferiore al secondo netto, riceviamo una serie di risultati che riguardano il tema che ci interessa ci sembra di poco conto.

Non è così. Ed è particolarmente importante il modo in cui Google organizza le informazioni anche perché, secondo una serie di statistiche, la maggior parte delle nostre ricerche si ferma ai primi risultati. Se non troviamo subito qualcosa, in altre parole, è più probabile che andiamo a cercarla in un altro modo, con un’altra parola chiave, piuttosto che spingerci alla seconda pagina. L’algoritmo attraverso il quale Google ci fornisce i risultati di ricerca nasce da un’idea dei fondatori Larry Page e Sergey Brin. L’idea è semplice: le pagine migliori sono quelle a cui altre pagine linkano, in un sistema che ricorda un po’ l’impact factor degli articoli scientifici. Da quella prima intuizione, tanto tempo è passato e ora Google usa un’intelligenza artificiale estremamente sofisticata che ha un obiettivo principale: capire cosa stiamo cercando e fornirci i risultati più adatti alle nostre esigenze.

Bert, come Google ha imparato a capire le nostre domande

Nel 2019, Google ha lanciato Bert (acronimo di Bidirectional encoder representations from transformers), un algoritmo in grado, come si legge nel post di lancio sul blog aziendale, “di comprendere le ricerche nel modo migliore di sempre”. Il sistema, in sostanza, usa una tecnica chiamata Natural language processing in grado di comprendere il senso delle parole che inseriamo nella barra di ricerca.

Bert ha consentito a Google di evolversi da un modello costruito sulla base dell’interpretazione delle singole parole. Se ad esempio un utente cerca Roma, il sistema andrà a trovare tutte le pagine web che contengono quel termine e le ordinerà sulla base di una serie di criteri predefiniti. Questo funziona bene con singole stringhe di testo, ma meno bene con chiavi di ricerca più complicate. Bert nasce per gestire questo problema. Se, quindi, facciamo una domanda a Google, l’intelligenza artificiale metterà le parole che la compongono in relazione, comprendendo i termini di quella frase e associando quindi i risultati che più si adattano a quella specifica formulazione.  

Mum, una nuova generazione di intelligenza artificiale

Se Bert ha tracciato una strada, nel 2021 Google ha presentato Mum (acronimo di Multitask Unified Model), una nuova intelligenza artificiale che ha l’obiettivo di migliorare ancora la capacità del sistema di rispondere alle nostre domande. In particolare, l’Ia è addestrata per fornire risposte a domande difficili, per le quali generalmente sono necessarie più ricerche e per fornire risultati non solo testuali, ma anche visivi, grazie alla capacità di comprendere e interpretare anche le informazioni contenute nelle immagini.

Un esempio aiuta a capire il funzionamento di Mum, che funziona in 75 lingue diverse, italiano incluso. Immaginiamo di voler cambiare smartphone. Con ogni probabilità, andremo su Google per capire quale potrebbe essere il dispositivo migliore per sostituire, ad esempio, un iPhone SE di seconda generazione. Per farlo, dovremmo effettuare più ricerche: magari i migliori smartphone in una determinata fascia di prezzo, le caratteristiche di uno che ci interessa particolarmente, i negozi dove comprarne uno… Con Mum, secondo quando spiega Google, basterà semplicemente digitare: “Ho un iPhone SE di seconda generazione e voglio cambiare smartphone: quale potrei comprare?”. Sarà poi il sistema a capire, sulla base della formulazione, quali risultati fornire, includendo testo, video e immagini.

L’intelligenza artificiale per la sicurezza delle ricerche

L’intelligenza artificiale non è solo uno strumento fondamentale per fornire agli utenti risposte alle loro ricerche. È anche il modo in cui Google controlla il suo spazio digitale, per evitare che le persone trovino contenuti pericolosi per sé stessi o per gli altri. In questo senso, BERT ha abbassato il rischio di incappare in risultati di ricerca inaspettati e potenzialmente scioccanti. Il punto centrale è la capacità del sistema di comprendere gli obiettivi della ricerca evitando, in questo modo, che l’utente incappi in qualcosa di inatteso.

“Solo nell’ultimo anno - fanno sapere da Google - il sistema ha portato a una riduzione del 30% di risultati di ricerca suggestionanti. In particolare, per quanto riguarda i contenuti espliciti per le ricerche relative a etnia, orientamento sessuale e di genere, che possono avere un impatto molto forte sulle persone”. E cosa succede quando invece gli utenti cercano qualcosa di pericoloso per la loro sicurezza? In quei casi, quando le ricerche sono esplicite, Google interviene direttamente, suggerendo come primo risultato un aiuto, magari un numero verde da chiamare. Grazie a MumM, Big G potrà migliorare la sua capacità di comprensione anche delle frasi meno chiare che, tuttavia, possono essere allo stesso modo indice di un momento di crisi.

“Le persone che attraversano periodi di difficoltà personale - spiegano da Google - esprimono i loro bisogni in una varietà di modi che potrebbero non essere immediatamente ovvi per noi. Mum è in grado di capire meglio e rilevare quando una persona è in un momento di bisogno, e conseguentemente mostrare informazioni più affidabili e precise per un dato momento”.