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Il sondaggio
Cosa serve per lavorare oggi: strumenti e competenze

Cosa serve per lavorare oggi: strumenti e competenze

L’indagine Swg per Italian Tech e Reply disegna un mercato del lavoro in profondo mutamento: il 36% vuole un nuovo impiego e non solo per soldi ma per trovare un migliore equilibrio familiare. Mentre è chiaro a tutti che senza competenze digitali gli sbocchi si riducono, anche se le soft skill rimangono preponderanti. E la settimana corta convince più dello smart working

2 minuti di lettura

Il 36% vuole cambiare aria (12% "sicuramente", il 24% "probabilmente"): si guarda intorno per trovare un nuovo lavoro.

Vuole uno stipendio più alto, certo, ma punta anche a trovare un miglior equilibrio fra vita e lavoro e ad imparare cose nuove, forse la più profonda eredità del biennio pandemico. In quel 36% spiccano i precari e i 31-45enni. Cresce, e lo dice anche la cosiddetta filosofia “yolo” sempre più diffusa e l’economia che si sta strutturando intorno alla formula “you only live once”, la voglia di cogliere l’occasione e mettersi in proprio sbarazzandosi di vecchi legami tossici.

Ma qual è il lavoro dei sogni degli italiani? E quali competenze sono loro richieste? Ancora: quali strumenti tecnologici le aziende mettono a disposizione dei dipendenti? E quali sono i canali privilegiati per la relazione da remoto dei dipendenti, quelle piattaforme diventate dal 2020 il simulacro di un ufficio fisico che oggi sta però ripopolandosi? A queste domande risponde l’Osservatorio Hi-Tech di Swg, Italian Tech e Reply, nel quale si scopre che se è vero che il 35% preferirebbe ancora il vecchio posto fisso, fra i 18-30enni molto è cambiato: il 37% desidererebbe infatti lavorare in autonomia e crescere nel tempo, visto che nel giro di 5 anni il 53% desidererebbe più soldi ma anche maggiori responsabilità.

Tutti, in ogni caso e in modo schiacciante, sanno che senza competenze digitali non si va da nessuna parte (83% degli intervistati con un picco del 93% fra chi ancora deve esordire nel mercato del lavoro). Eppure, fra le competenze che ritengono fondamentali, gli italiani mettono quelle digitali e informatiche solo al secondo posto col 39%, che tuttavia sale fra chi ha una formazione scientifica al 45%, dietro al problem solving e alle capacità decisionali (40%). Seguono, al terzo posto, la conoscenza delle lingue straniere e, a distanza, l’apertura mentale, la capacità di gestire lo stress, di lavorare in squadra e di creare e prendere l’iniziativa.

Le famose “soft skill”, entrate da anni nella cassetta degli attrezzi degli specialisti delle risorse umane, sempre più attenti al profilo globale dei candidati, oltre le competenze specifiche. L’idea che gli impieghi tecnico-scientifici siano quelli che offrono maggiori sbocchi è assodata (50% contro il 15% per gli umanistici, ma il 35% pensa diano le stesse opportunità), anche se la questione sfuma quando si propongono agli intervistati le coppie dei lavori “operativi” contro “di concetto” o “specialistici” e “trasversali”.

Sembra uscirne l’idea che ogni parte della propria formazione contribuisca a renderci lavoratori pronti per il futuro. In termini di strumenti, invece, al 60% dei dipendenti le aziende hanno messo a disposizione computer portatili e tablet. Con percentuali diverse: se nel pubblico è un’eccezione che riguarda il 31% dei lavoratori, nel privato quasi una regola (67%). Seguono i servizi di archiviazione online al 38%, uno smartphone al 36% e software in cloud al 33%.

Senza sorprese, passando invece alle piattaforme con cui milioni di persone sono riuscite a salvare il lavoro nel corso di lockdown e quarantene, trionfano quelle di videoconferenza, da Zoom a Google Meet passando per Teams. E invece i social professionali come Facebook Workrooms? Non sembrano far breccia nel cuore dei dipendenti: li usa appena il 13%.

Per il futuro gli italiani intervistati da Swg per Italian Tech e Reply il 67% pensano che le persone cambieranno spesso azienda e il 62% che la flessibilità abbia ormai sostituito i ferrei orari fordiani. Gli uffici (52%) saranno spazi in cui ritrovarsi per appuntamenti specifici o dove trascorrere magari la famosa “settimana corta”, che per il 78% garantirebbe un miglior equilibrio quotidiano, attrarrebbe più talenti (70%) e sosterrebbe la produttività (64%).

Il 56% non ha dubbi: preferirebbe una settimana di 4 giorni anche in presenza piuttosto che lo smart working attuale (26%). Questo per le predisposizioni personali.

Rispetto al contributo della tecnologia gli intervistati provano emozioni positive come curiosità, speranza e fiducia (79%) più di quelle negative (48%).

Si bilanciano con i pessimisti le percentuali di chi, sull’onda di questi progressi, vede anche un parallelo avanzamento in termini di salari, discriminazioni di genere o geografiche.

 

Cambia un po’ il vento, ma capita spesso, quando si parla invece di robot: il 51% teme che le intelligenze artificiali ruberanno loro il lavoro. In molti ambiti le menti artificiali sono già ritenute in grado di battersela con gli esseri umani ma in tanti settori, dall’assistenza alle persone alle risorse professionali, l’intelligenza umana appare ancora imbattibile.