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Politici nella Rete/3

Il Pd scommette su un “metodo scientifico” per conquistare i social

Luca Ferlaino, fondatore di SocialCom
Luca Ferlaino, fondatore di SocialCom 
Intervista a Luca Ferlaino, che ha fondato nel 2016 SocialCom Italia, società di consulenza che crea strategie di comunicazione basandosi sull’analisi dei dati. Questo “metodo scientifico” è stato scelto dal Partito Democratico per veicolare il suo programma politico agli utenti dei social
2 minuti di lettura

Il Pd è l’unico partito - tra i maggiori in corsa per le politiche del prossimo 25 settembre - ad appoggiarsi a una società esterna per organizzare la sua comunicazione sui social. Va detto che l’ufficio stampa interno al partito conserva un ruolo chiave. Ma per decidere come (e dove) veicolare i propri messaggi, il Pd si affida al monitoraggio e all’analisi dei dati di SocialCom. “Ci hanno scelto per questo - spiega Luca Ferlaino, il fondatore dell’azienda -, perché lavoriamo i dati e li organizziamo in modo che siano leggibili e comprensibili. Su questi dati, infine, costruiamo una narrazione che poi il partito approva o meno. In tal modo, produciamo già circa 150 contenuti a settimana”.

Può farci un esempio concreto di questo “metodo scientifico”?
“Dopo la caduta del governo Draghi, per menzioni complessive e per interazioni sui social Letta e Meloni erano primi sui social. Salvini ha generato meno interazioni. I dati, in questo caso, evidenziano una polarizzazione a cui il Pd può dare la sua lettura. Poi il partito può incrociare questi numeri con i sondaggi e con quello che apprende dal territorio, dove è molto radicato. Un pezzo importante del Paese è sui social, è vero, ma sta anche al bar e nelle piazze”.
Come si compone la vostra squadra di lavoro?
“Ci sono varie figure: il direttore creativo, l’analista e i consulenti selezionati in base alla loro sensibilità politica. In tutto abbiamo quattro analisti con due compiti specifici: monitorare la rete nella sua interezza e poi tenere d’occhio i singoli gruppi di interesse o categorie: le partite Iva, per esempio, oppure le community degli ambientalisti”.
Quanti utenti riuscite a monitorare?
“La nostra analisi riguarda circa 1500 community per quasi 4 milioni di iscritti, sulle varie piattaforme”.
Ma lei, Ferlaino, da dove sbuca?
“Mio padre, Corrado Ferlaino, era il presidente del Napoli. Ho mosso i primi passi nel marketing del club, occupandomi di eventi e sponsorizzazioni. Poi mi sono innamorato della comunicazione”.
Com’è successo?
“Ho avuto modo di conoscere Gianroberto Casaleggio, nel corso di riunioni in cui si organizzava la comunicazione dell’Italia dei Valori di Di Pietro. Ascoltavo Casaleggio mentre diceva che eravamo dei morti perché discutevamo ancora di manifesti, e che la rete era l’unica via. Non capivo se fosse un pazzo sfegatato o un genio”.
Casaleggio aveva ragione?
“Lui all’epoca aveva un’idea chiara e l’ha applicata: grazie alla rete voleva amplificare delle tematiche, cavalcarle e creare un partito che arrivasse a governare il Paese”.
Come si cattura l’attenzione degli italiani sotto l’ombrellone, in questa atipica campagna elettorale estiva?
“Con messaggi non troppo lunghi e con temi che interessano realmente agli utenti. Per il Pd è importante l’analisi perché, a differenza della destra che avrà dei cavalli di battaglia specifici, il suo programma politico è molto ampio e deve essere declinato nel modo corretto”.
TikTok può aiutare?
“Sì, ce ne siamo accorti durante la scorsa elezione del Presidente della Repubblica. In quel momento di stallo, di rabbia e sdegno nei confronti di una politica incapace di eleggere un presidente, TikTok è stato il primo social per numero di interazioni ai contenuti dei creator sull’elezione”.
Il Pd userà TikTok per la sua campagna elettorale?
“Se decidesse di aprire un profilo ufficiale, dovrebbe organizzare una narrazione specifica, non ricorrere alla semplice replica di post di Facebook o Instagram. Al momento puntiamo su creator vicini ai temi del Pd per veicolare i messaggi del partito. Se ce n’è uno molto sensibile alle tematiche ambientali, per esempio, noi cerchiamo di fargli arrivare i nostri messaggi. Puntiamo a creare, insomma, dei volontari digitali”. 
Lei ha mai incontrato Enrico Letta?
“No, mai”.
Se ne avesse la possibilità, cosa gli consiglierebbe?
“Gli direi di essere se stesso. Sui social funziona tutto ciò che è vero. I contenuti perfetti, creati dalle agenzie, non diventano quasi mai virali”.
Qual è l’errore da evitare, nell’epoca dei social?
“Molte volte i comunicatori pensano di potersi sostituire alla politica, ma questo è lo sbaglio più grande che si possa fare. I like non sono voti”.
Si riferisce a qualcuno in particolare?
“Prendiamo Renzi. Lui è molto bravo su Twitter e in tv, ma gli italiani stanno su Facebook, Instagram e oggi su TikTok. La parabola discendente di Renzi riguarda la politica, ma io credo che sia stato penalizzato anche dal modo in cui ha usato i social. Renzi tende a comunicare quello che pensa sia rilevante per le persone. Ma in realtà bisognerebbe parlare di cose che interessano veramente alla gente”.