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Videogiochi

Return to Monkey Island, la prova: il ritorno di un vecchio amico

Return to Monkey Island, la prova: il ritorno di un vecchio amico
Un nuovo capitolo della storica saga che ha fatto la storia dei videogiochi e che riesce, anche se con qualche inciampo, a farci sorridere e appassionare ancora
3 minuti di lettura

Impossibile scindere il nome Monkey Island dal concetto di nostalgia: i primi due giochi, usciti ormai più di trent’anni fa, rappresentano ancora oggi un caposaldo di scrittura e game design per quanto riguarda il mondo delle avventure videoludiche e il loro protagonista, Guybrush Threepwood, un esempio di eroe gentile totalmente in controtendenza con la narrazione muscolare e guerrafondaia della maggior parte dei giochi di quegli anni (e forse anche di oggi).

Ecco perché tornare dopo così tanto tempo su Melee Island grazie a Return to Monkey Island, inaspettato seguito scritto da Ron Gilbert e Dave Grossman, è una di quelle esperienze che può far tremare i polsi, perché con la nostalgia non si scherza e a volte la sacralità di un classico è il principale nemico di chi vorrebbe solo continuare a raccontare storie.

Per fortuna Gilbert e Grossman, pur mancando la penna geniale di Tim Schafer, sono riuscito a raccontare una storia che sa benissimo cosa vogliamo ma sa anche che è passato del tempo. Gli aspetti più familiari, al di là luoghi e personaggi, hanno a che fare con una sensazione che riguarda soprattutto lo stile, la capacità dei due autori di scrivere dialoghi divertenti in una prosa tutta loro. Come incontrare un vecchio amico d’infanzia: è sempre lui, ma non è lui perché il suo volto è solcato da rughe e la voce è più profonda, ma quei modi di dire, quegli impercettibili tic che lo caratterizzano o il gusto per qualcosa sono ancora là per scaldarci il cuore.

Esattamente come le prime note del tema musicale che partono dopo il prologo, ed ecco che improvvisamente sei tu, poco più che bambino, di fronte a uno schermo, affascinato da questa storia di pirati di cui non sai niente e che citerai a memoria negli anni a venire, finché non diventerà una sorta di piccolo codice cifrato tra chi c’era e chi no. Parlando del prologo, ci è sembrato veramente un tocco di classe per collegarsi alla discussa fine del primo capitolo e risolvere la cosa in modo elegante. Invece, saranno probabilmente in tanti a parlare del finale, perché la conclusione di una storia conta quanto il viaggio e forse lì qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto.

Ma per fortuna non siamo qua solo a raccontare l’ennesima operazione nostalgia, perché questo racconto, che si colloca dopo il secondo capitolo, parla di una nuova avventura e lo fa proponendoci anche facce e luoghi nuovi, ma soprattutto sa invecchiare con chi lo ha scritto e non disegna di punzecchiare proprio quella nostalgia che ci piace tanto. È il racconto di chi, pur avendo vissuto una vita piena, non vuole lasciarsi qualcosa di non detto alle spalle e inizia ad affrontare il pensiero del tempo che scorre, così come l’idea che è giusto saper passare il testimone. Insomma, è una storia che oltre a farci sentire giovani è anche strettamente contemporanea e sulla quale non diremo niente di più, perché va goduta.

E se la capacità di deduzione di chi gioca non fosse più quella di un tempo? Non c’è da preoccuparsi: se l’obiettivo è godersi Return to Monkey Island senza lambiccarsi troppo il cervello ci sono due soluzioni per andare avanti spediti: la prima è scegliere la modalità Casual, in cui tutti gli enigmi sono semplificati, alcuni oggetti fondamentali sono disponibili senza sforzo e tutto scorre più o meno senza intoppi; l’altra soluzione è un semplice ma efficace sistema di aiuti, sotto forma di un libro che si può consultare in ogni momento e che dispensa consigli sempre più diretti a seconda dei bisogni. A volte, infatti, basterà giusto una parola per trovare la soluzione, ma se non fosse sufficiente si potranno chiedere altri consigli sino alla rivelazione vera e propria dell’enigma. Per quanto riguarda l’interfaccia, i tempi delle schermate piene di azioni da cliccare e del vecchio Scumm sono finiti: ora si fa tutto con due click del mouse. Il gioco è anche interamente doppiato in inglese, con sottotitoli in italiano, e disponibile per PC, Mac e Nintendo Switch.

Un tema particolarmente scottante per Return to Monkey Island è stato quello della veste grafica: se il sonoro, nuovamente affidato a Peter McConnell, Michael Land e Clint Bajaklan, rivisita con intelligenza i temi classici, lo stile del gioco ha fatto storcere la bocca a chi desiderava un ritorno alla pixel art e ai fasti dell’arte di Steve Purcell, cosa che Gilbert ha voluto evitare per cercare qualcosa di più contemporaneo.

Anche noi eravamo onestamente molto scettici su questa scelta (del tutto legittima), ma una volta di fronte all’opera completa è impossibile non apprezzare i mille dettagli, i colori vibranti, la capacità evocativa della direzione artistica di Rex Crowle. Ancora una volta: tutto appare nuovo, ma allo stesso tempo familiare. Ovviamente potrebbe ancora non piacere, ma a meno che proprio non si trovi inaffrontabile questa scelta stilistica, il consiglio è di andare oltre e godersi comunque la storia. L’unica riserva rimane sulle animazioni, che a volte sembrano quelle dei vecchi giochi in Flash e di riflesso fanno sembrare il tutto poco rifinito.

Spesso, quando si torna in luoghi familiari si è colti da una punta d’ansia: e se le nostre preziose memorie fossero rovinate? E se ci rendessimo solo conto del tempo che passa senza goderci il momento? E se certe cose le lasciassimo nel passato? The Return of Monkey Island è qui per zittire questi dubbi, ricordando che il tempo passa per tutti, anche per i videogiochi, ma che se sai invecchiare con grazia, puoi farlo senza problemi. E anche che se c’è qualche intoppo, niente può scalfire la bellezza, la freschezza e le belle sensazioni di questa nuova avventura di Guybrush Threepwood, temibile pirata.