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Di che cosa parla Inverso, la serie di William Gibson che anticipa (di nuovo) il futuro

Di che cosa parla Inverso, la serie di William Gibson che anticipa (di nuovo) il futuro
In streaming dal 21 ottobre, The Peripheral è tratta da un libro dello scrittore americano. Che, 40 anni dopo aver inventato il cyberspazio, è ancora in grado di anticipare il progresso
5 minuti di lettura

Nel 1982 è stato il primo a usare il termine cyberspazio, un posto virtuale che oggi diamo per scontato e che frequentiamo come fosse vero. Esattamente quarant’anni dopo, William Gibson torna con un altro prodotto della sua fantasia destinato in qualche modo ad anticipare il nostro futuro.

L’opera in questione è il romanzo The Peripheral, uscito nel 2014 e pubblicato in Italia nel 2017 con il titolo di Inverso (il motivo lo si capisce leggendolo), diventato una serie tv in 8 episodi prodotta da Amazon Studios e Warner Bros in collaborazione con la Kilter Films di Jonathan Nolan, fratello del più celebre Christopher.

Di che cosa parla The Peripheral

Inverso parla di viaggi nel tempo, ma non come fa Ritorno al Futuro: per Gibson così sarebbe troppo facile. Il presente di Flynne, una dei protagonisti, è il futuro di chi legge ma è insieme anche il passato di Wilf, l’altro protagonista del libro, il cui presente è a sua volta il futuro di Flynne. Come si capisce, e come più o meno tutte le opere di GIbson, anche Inverso ha una soglia d’ingresso parecchio alta, a causa dei tanti personaggi, di una trama non semplice e delle molte parole che l’autore inventa e mette lì come se ci fossero sempre state, come se non servisse spiegarle. E infatti non le spiega e lascia che sia il lettore a farle sue, così che le prime 70-100 pagine (il libro ne dura poco più di 500) possono rivelarsi a tratti faticose o molto faticose. E però, non appena si inizia a capire, tutto fila più o meno liscio.

Semplificando, e senza spoiler, Flynne vive in una cittadina degli Stati Uniti nel (nostro) futuro prossimo, si mantiene interpretando personaggi nei videogiochi online oppure lavorando per un negozio che stampa oggetti in 3D, diventati ormai la norma. Wilf vive in una Londra spostata 70 anni avanti nel tempo, dopo che una non ben precisata catastrofe ha spazzato via gran parte dell’umanità: nella sua epoca, i viaggi nel tempo sono una sorta di hobby per ricchi. Non si viaggia fisicamente, ma usando periferiche che ricordano i visori per la realtà virtuale e si collegano a un misterioso server in Cina al cui interno sarebbe conservato il passato del mondo. È durante uno di questi viaggi fatti con quelli che oggi chiameremmo avatar, che Flynne e Wilf s’incontrano e insieme devono risolvere un mistero: lo fanno in quella che allora Mondadori definiva “terra di mezzo” ma che oggi sappiamo essere un mondo ricostruito attraverso i visori per la realtà virtuale. Un metaverso (cos’è?), per dirla con una parola tanto cara a Mark Zuckerberg.

youtube: il trailer di The Peripheral

Le previsioni (azzeccate) di The Peripheral

Quella del metaverso, è la prima, più grande e ovvia previsione indovinata da Inverso. Che è stato pubblicato nel 2014, quando i mondi virtuali già c’erano ma decisamente non erano quelli che si stanno costruendo ora. Non deve stupire, visto che la parola metaverso è stata usata la prima volta proprio da un collega di Gibson, lo scrittore Neal Stephenson, nel romanzo Snow Crash, pubblicato nel 1992.

Poi c’è l’abbondante uso dell’intelligenza artificiale e dei robot, ovviamente spiegati con le licenze che un’opera di fantasia è autorizzata a concedersi, e c’è il concetto di telepresenza, usato più volte per descrivere quello che fanno Flynne e Wilf e che anche noi, nel mondo reale, utilizziamo sempre più spesso per descrivere azioni che compiamo in un posto, però stando in un altro posto.

Fra gli altri dettagli che saltano all’occhio leggendo il libro, che è davvero bello e ha pure un seguito (s’intitola Agency), è interessante il ruolo dato alla Cina, che nel futuro futuro è ormai ampiamente autonoma dal punto di vista tecnologico, ha pochissimi contatti con l’Occidente e nasconde “il grande mistero” che “è al di fuori della nostra portata”. Che è un po’ quello che sta succedendo ai giorni nostri e per davvero.

Poi ci sono le auto: quelle private praticamente non esistono più, ma ci sono veicoli che si noleggiano quando si ha la necessità di spostarsi, stampati o da stampare e fatti di carta idrorepellente che si può poi riciclare. Al giorno d’oggi non stiamo andando (ancora?) verso macchine costruite così, ma decisamente ci stiamo spostando sempre più verso auto non più da possedere ma da usare quando serve. Magari guidate da un robot o da un’intelligenza artificiale.

Infine, il Wheelie Boy, un piccolo automa che nella seconda parte del romanzo ha un ruolo significativo: è alto mezzo metro, si muove su ruote e ha uno schermo che funziona da faccia (e da interfaccia). Ricorda qualcosa? Impossibile non pensare ad Astro, il robottino domestico svelato da Amazon a fine 2021. E immaginato da Gibson 7 anni prima.

Quando arriva la serie su Amazon Prime Video

The Peripheral è disponibile in streaming in più o meno tutto il mondo (Italia compresa) a partire dal 21 ottobre, con gli episodi che rilasciati settimanalmente, ogni venerdì.

L’attrice Chloë Grace Moretz ha il ruolo di Flynne, mentre Wilf è interpretato da Gary Carr; fra gli altri personaggi degni di menzione, ricordiamo Jack Reynor nei panni di Burton (ex militare, fratello di Flynne) e Julian Moore-Cook ed Eli Goree che prestano il volto, rispettivamente, a Ossian e Connor.

Altri 4 libri di Gibson che non si possono non leggere

William Gibson, nato negli USA nel 1948, è uno dei padri del cyberpunk insieme con Bruce Sterling e sta alla fantascienza moderna un po’ come Isaac Asimov sta a quella classica: tutta la sua produzione, soprattutto quella degli inizi, andrebbe letta per capire dove sta andando la tecnologia. O dove negli Anni 80 immaginavamo che sarebbe andata.

Se si dovesse scegliere un’unica opera da leggere, non potrebbe che essere La notte che bruciammo Chrome, che non c’entra con il browser di Google ma è una raccolta di racconti pubblicata nel 1986 che comprende, fra gli altri, la storia che dà il titolo al volume (scritta nel 1982, quella in cui compare la parola cyberspazio), Il continuum di Gernsback, New Rose Hotel e Johnny Mnemonico, da cui nel 1995 venne tratto l’omonimo film con Keanu Reeves.

E però, impossibile non citare anche i 3 romanzi che compongono la Trilogia dello Sprawl, pubblicati in sequenza fra 1984 e 1988 ma oggi acquistabili anche in un unico volume: sono Neuromante, Giù nel ciberspazio e Monna Lisa Cyberpunk e hanno contribuito a definire per sempre l’idea di futuro dei teenager degli anni Ottanta.

Il futuro previsto da William GIbson

Fra i tre, quello più significativo è ovviamente il primo, Neuromante: non solo è considerato in qualche modo il manifesto del genere cyberpunk, ma è anche quello in cui il concetto di cyberspazio viene ampliato e definito. Secondo Gibson è “un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori in ogni nazione, una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano”, fatta di “impensabile complessità” e “linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati”.

Parole a parte, è esattamente quello che avremmo vissuto (e che stiamo vivendo) per davvero grazie all’arrivo di Internet e in seguito dei mondi virtuali, dei videogiochi, delle simulazioni, però immaginato nel 1982, quando la Rete come la conosciamo oggi era solo un’idea nelle menti dei programmatori più visionari. O degli scrittori più dotati.

A Gibson si deve anche l’avvicinamento alla cultura popolare del concetto di hacker, il “cowboy della consolle” capace di collegarsi a Matrix (sì, proprio quella del film del 1999), la rete informatica globale che unisce i computer del mondo. Nelle sue opere, un altro termine ricorrente è ICE, sigla che sta per Intrusion Countermeasures Electronics: sono le contromisure elettroniche anti-intrusione, versione romanzata degli attuali firewall e antivirus, hanno la stessa funzione ma nei libri possono anche uccidere gli hacker più sprovveduti.

E poi ovviamente ci sono le IA e i robot come le michikoidi, con la pelle di porcellana, insieme sensibile e resistente, che ricordano tantissimo gli automi immaginati da Masamune Shirow in Ghost in the Shell, oppure quelli affrontati da Will Smith in Io, robot. E anche sembrano l’evoluzione perfetta di quelli con cui sempre più spesso abbiamo e avremo a che fare quotidianamente, non solo in un supermercato o in una stazione di Tokyo ma anche all’aeroporto romano di Fiumicino.