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Il caso

Le IA generative violano il copyright? I 2 motivi per cui Getty fa causa a Stable Diffusion

Le IA generative violano il copyright? I 2 motivi per cui Getty fa causa a Stable Diffusion
Negli USA e in Europa si inizia a parlare di tutela dei diritti degli artisti, violati dalle intelligenze artificiali in grado di creare immagini. Partendo da immagini che appartengono ad altri
2 minuti di lettura

A chi appartengono le immagini create con intelligenze artificiali molto popolari, come Dall-E 2, Midjourney e Stable Diffusion? Più precisamente: di chi sono le immagini (o le foto) da cui queste IA imparano per creare nuove immagini e nuove foto?

Su Italian Tech abbiamo spiegato spesso nelle ultime 2-3 settimane (qui parlando di cinema) che quello della tutela dei diritti potenzialmente violati dalle intelligenze artificiali sarà un tema sempre più presente negli anni a venire. Lo dimostra anche la causa collettiva intentata negli Stati Uniti da Sarah Andersen, Kelly McKernan e Karla Ortiz appunto contro Stable Diffusion, Midjourney e anche DeviantArt, che avrebbero “violato i diritti di milioni di artisti”, addestrando le loro IA con lo scraping (cos’è?) di circa 5 miliardi di immagini catturate online “senza il consenso di chi le ha create”. La causa è stata fatta attraverso lo studio legale Joseph Saveri di San Francisco, che ha fra l’altro già in piedi un procedimento simile contro GitHub, Microsoft e OpenAI.

E ancora di più lo dimostra l'azione legale avviata da Getty Images, fra le più note agenzie fotografiche al mondo, sempre contro Stable Diffusion: in un comunicato diffuso in mattinata (questo), viene spiegato che Stability AI averebbe "copiato ed elaborato illegalmente milioni di immagini protette da copyright" per addestrare l'IA e che dunque Getty ha "avviato un procedimento legale presso l'Alta Corte di Giustizia di Londra".

 

Qual è il problema delle IA con il copyright

Il primo punto del discorso riguarda i princìpi di funzionamento di queste IA: vengono chiamate generative perché sono in grado di creare contenuti, che sembrano originali (e in qualche modo lo sono) anche se in realtà non sono davvero originali. Semplificando, queste IA guardano miliardi di immagini online, le memorizzano, imparano a riprodurle e soprattutto a usarle per creare altre immagini.

Ma a chi appartengono le immagini originarie da cui Stable Diffusion, Midjourney e altre sono partite? Secondo gli artisti che stanno portando avanti la causa (ma non solo secondo loro), appartengono a persone che non sarebbero state avvertite di questa cosa, cui non sarebbe stato chiesto il permesso per l’uso delle loro immagini e che sicuramente non hanno ricevuto alcun pagamento per questo utilizzo. Il succo è che il loro lavoro viene stravolto e che tutto questo viene fatto gratis.

No-profit, ma con profitto

È un problema che riguarda anche le IA che si esprimono attraverso i testi (come ChatGPT), ma con le immagini è forse più evidente e facilmente percepibile. Ed è appunto un problema che ha a che fare con le basi dell’apprendimento delle intelligenze artificiali: chi le sviluppa si appoggia a enormi database di informazioni raccolte online, che vengono messi a disposizione da aziende che di lavoro fanno questo (le più note sono l’americana Common Crawl e la tedesca Laion).

Vengono messi a disposizione gratuitamente, e questo punto è un punto importante: si suppone che molta parte di questi dati siano coperti da una qualche forma di copyright, ma l’idea è che siano talmente utili alla comunità da superare la tutela del diritto d’autore. Soprattutto se si sta entro i limiti di quello che la legge statunitense definisce Fair Use (è spiegato qui): semplificando, l’utilizzo è lecito se non ci si guadagna, tant’è che sia Common Crawl sia Laion sono no-profit.

Il motivo del contendere è duplice: da un lato, il concetto del Fair Use non è previsto nell’Unione europea, cioè in una buona parte del mondo; dall’altro, le aziende che usano questi database (quello di Laion contiene 5-6 miliardi di immagini, da qui arriva il numero citato nei documenti della causa) raramente lo fanno non a scopo di lucro. Più o meno tutte, in modo diverso, più o meno evidente e con diverse motivazioni, chiedono a chi usa i loro strumenti “un contributo economico”. Cioè soldi, che incassano da un bene che hanno ricevuto gratuitamente.

@capoema