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Futuro

Ibernazione nei lunghi viaggi spaziali. Fantascienza? No, scienza in fase sperimentale

Ibernazione nei lunghi viaggi spaziali. Fantascienza? No, scienza in fase sperimentale
Si sta realizzando quello che il film “2001 Odissea nello Spazio” aveva immaginato nel 1968
3 minuti di lettura

Un lungo viaggio nello spazio, della durata di anni. E un lungo sonno. Poi, il risveglio, ed ecco l'equipaggio pronto alla sua missione sul pianeta tutto da esplorare. La Terra, molto lontana, è una piccola stella che si perde tra le migliaia di altre che popolano la galassia. Uno scenario che oggi è ancora da relegare alla fantascienza. Quella però che nella primavera del 1968 portava sul grande schermo “2001 Odissea nello Spazio”: uno di quei capolavori del cinema che, più che sulla fantascienza “estrema”, si sono basati su ciò che la scienza avrebbe portato alla realtà. Non a caso basato sul romanzo di uno scienziato, Arthur Clarke, “2001” anticipava navette spaziali che attraccano a grandi basi orbitanti attorno alla Terra, sbarchi lunari e computer che si rifiutano di compiere determinate operazioni. Tutto ciò che il film di Kubrik ha mostrato in seguito è avvenuto. E poi? Altri scenari un po' più “estremi”, compresi quelli di uomini distesi in capsule di vetro immersi in un lungo sonno: anche questo potrà avverarsi?

Come gli scoiattoli

Il tutto è forse un po’ inquietante, ma sappiamo bene che ciò che è fantascienza oggi può divenire realtà tra 50 o 100 anni: “Quando si parla di ibernazione, inevitabilmente si associa a uomini e donne chiusi in un frigorifero per un lungo sonno. Il colossal di Kubrik ha così reso popolare ciò che invece significa letargo” – ci ha detto Noriaki Kondo, neurofisiologo giapponese e ricercatore, intervenuto ad un congresso sull’esplorazione dello spazio interstellare – “Per ora è impossibile. Ma stiamo portando avanti da tempo studi e ricerche da tempo, soprattutto da cavie animali come gli scoiattoli per capire se e quanto un lungo sonno sia fattibile su esseri umani e senza danni di tipo neurologico”.

Sono diversi gli animali che utilizzano lo stato biologico dell'ibernazione al fine di proteggere il proprio organismo dal freddo e dalle rigide condizioni ambientali dell'inverno. Non tutti i mammiferi, tuttavia, hanno questa capacità; ma applicare l’ibernazione agli umani, potrebbe essere la chiave per affrontare lunghi viaggi spaziali, come quelli che si progetta proprio per viaggiare oltre il nostro sistema solare. Ma è possibile manipolare la temperatura del corpo dei primati per farli cadere in uno stato di ibernazione artificiale? È questa la domanda a cui hanno tentato di rispondere i ricercatori dell'Istituto di Tecnologia Avanzata di Shenzhen (SIAT), in Cina. A quanto pare, il team sarebbe riuscito per la prima volta ad ottenere una ipotermia controllata in alcuni primati non umani, causata dall'attivazione di specifici neuroni dell'ipotalamo.

Noriaki Kondo, neurofisiologo giapponese e ricercatore
Noriaki Kondo, neurofisiologo giapponese e ricercatore 

E i macachi?

I ricercatori hanno indagato la termoregolazione di una specie di macachi (Macaca fascicularis) attraverso una tecnica di manipolazione genetica dei neuroni. Tramite un vettore virale, sono infatti stati in grado di rendere sensibili ad un particolare farmaco – il CNO - un piccolo e specifico gruppo di neuroni, localizzati in una regione dell’ipotalamo chiamata Area Preottica. La somministrazione di CNO ha quindi provocato l’attivazione solo di questi neuroni innescando una modesta ipotermia . L’attività cerebrale degli animali è stata poi monitorata tramite la risonanza magnetica funzionale: "Questo studio dimostra con successo il primo caso di ipotermia indotto in un primate attraverso la manipolazione neuronale," - ha affermato il dottor Wang, ricercatore dell'istituto - "Con la crescita della passione per i viaggi spaziali, questo modello sull'ipotermia delle scimmie è il primo passo su una lunga strada verso l'ibernazione artificiale."

“Ma considerando le distanze e i tempi di viaggio verso le stelle anche più vicine, cioè decenni nella migliore soluzione, pare l’unica soluzione” - spiega il professor Matteo Cerri, neurofisiologo dell'Università di Bologna, medico e coordinatore del gruppo di studio Hibernation dell’Agenzia Spaziale Europea “Siamo all'inizio, in una fase sperimentale” - aggiunge Cerri - “Ma siamo partiti. Il termine ibernazione lo si associa sempre al congelamento di un essere vivente. Invece significa letargo, proprio come quello dei ghiri e degli scoiattoli. Stiamo cercando di comprendere come e se l'uomo può andare in letargo.”

 

Cerri: “Siamo in fase preliminare, ma non è fantascienza”

Inoltre, proprio negli animali che vanno in letargo, studiamo le analogie con l'uomo”. “Anche se stiamo ancora lavorando su dati preliminari” - precisa - “le indicazioni sono favorevoli. Un uomo potrebbe probabilmente andare in letargo per lungo tempo. Il risveglio sarà invece una fase un po’ più delicata,ma poi l’organismo riprenderebbe a funzionare regolarmente, forse anche meglio di prima”. Quindi l'ideale per viaggi spaziali futuri, verso altre stelle. Ma anche su Marte?: “Sarà una missione della durata media di due anni tra andata e ritorno” - aggiunge il ricercatore dell'università felsinea - “e uno dei problemi della missione saranno le enormi scorte di cibo e approvvigionamenti vari per l'equipaggio. E quindi con grandi astronavi, cargo da inviare prima e dopo, eccetera. Il tutto, con costi molto alti della missione. Con un sonno di nove mesi, si può arrivare su Marte riducendo molte problematiche.

Anche il danno da radiazioni verrebbe ridotto in maniera rilevante. Quello dell'ibernazione, o se preferite del “letargo” potrebbe essere un avanzamento importante per le missioni e iniziare davvero a porre le basi per una colonia marziana”. Ma anche gli studi sugli assideramenti accidentali sono interessanti: “Una dottoressa svedese cadde accidentalmente in un lago ghiacciato alcuni anni fa” - dice Cerri - “e la sua temperatura quando è stata recuperata era di 13,8 gradi. E' sopravvissuta e da tempo sta benissimo. Casi come questo capitano quasi tutti gli anni...”. Ma questi studi, hanno ovviamente un indirizzo anche su realtà “terrestri”, quindi in ambito medico. Potrà esserci una ennesima ricaduta per le esplorazioni spaziali in ambito biomedico?: “Certamente” - dice Cerri - “Quello del lungo sonno rappresenta una nuova frontiera nella medicina per operazioni chirurgiche molto lunghe e delicate, ma anche per condizioni oggi critiche come lo shock settico o per pazienti in attesa di trapianti. Ripeto, siamo all'inizio, ma siamo partiti e intendiamo proseguire. E' un po' un sogno che coltivavo da ragazzo, appassionato di scienza, tra medicina e imprese spaziali un po' fantascientifiche. I primi risultati sono buoni”.

Per ulteriori informazioni sulle attività di ricerca del dottor Matteo Cerri, suggeriamo i due ibri di cui è autore: “A mente fredda” ed. Zanichelli e “La cura del freddo” ed. Einaudi