Le intelligenze artificiali sono bravissime con i giochi, a impararne le regole, a stare nei binari che impongono e pure a battere gli umani. Sono meno brave in presenza di variabili imprevedibili (come l’interazione con noi), ma questa è un’altra storia. Con i giochi sono perfette.
E infatti i giochi vengono spesso usati per addestrarle e pure per metterle alla prova: celebri sono le partite di scacchi fra macchine intelligenti e avversari umani, così come nel 2017 suscitò grande clamore il fatto che AlphaGo, una IA sviluppata da Google, riuscì a imparare da sola a giocare a Go, arrivando a superare gli umani in questo un gioco difficilissimo.
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Allenarsi con i videogiochi
Questa cosa è vera ancora oggi, ovviamente: OpenAI, l’azienda di cui parlano tutti perché ha ricevuto miliardi di dollari di investimenti da Microsoft e ha creato GPT-3, il large language model (cos’è?) su cui si basa ChatGPT, ha alle spalle una lunga esperienza con i giochi. Anzi, con i videogiochi.
Fra 2016 e 2019, i suoi ingegneri del software hanno lavorato allo sviluppo di una IA forse meno conosciuta ma non certo meno importante: si chiama Five e ha imparato quello che sa giocando al videogioco Dota 2. Ha giocato talmente tanto che nell’ambiente è nota anche come Dota 2 AI.
Con “ha giocato tanto” si intende veramente tanto: online, l’azienda ha spiegato che avrebbe disputato “10mila anni di partite contro se stessa”, ma il dato è vecchio e più di recente è stato rivisto al rialzo. Provando circa 180 anni di partite al giorno, Five avrebbe accumulato 45mila anni di esperienza a Dota 2, come svelò Greg Brockman, co-founder e attuale presidente di OpenAI.
È ovviamente diventata bravissima, tanto che fra 2018 e 2019 ha affrontato sia giocatori comuni in alcune sfide online (vincendo il 99,4% delle volte) sia soprattutto ha partecipato a The International, il torneo annuale di Dota 2 con montepremi da 25 milioni di dollari, battendo in finale i campioni in carica.
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Cos’è Dota 2 e come provarlo
Non che fosse facile, perché Dota 2 non è esattamente un videogioco semplice. Come forse si capisce, è il seguito di Dota e il suo nome sta per Defense of the Ancients. È videogioco di ispirazione fantasy, ma non è nato come un videogioco: è una mappa realizzata dai fan di Warcraft III, che ha avuto così tanto successo da diventare un titolo a sé stante e da generare un seguito, prodotto da Valve.
Dota e Dota 2, esattamente come Warcraft III, appartengono al genere Moba (come League of Legends, per citare uno dei più noti): la sigla sta per Multiplayer online Battle arena e sono appunto giochi online competitivi in cui si combatte in un’area solitamente divisa in settori e in cui generalmente si vince prendendo il controllo della mappa, o comunque radendo al suolo l’insediamento degli avversari. A complicare il tutto c’è il fatto che i Moba uniscono elementi action con altri tipici dei giochi di strategia in tempo reale e dei giochi di ruolo, con le caratteristiche e le abilità che crescono e si modificano con il progredire delle partite.
Questo li rende tutti parecchio difficili da padroneggiare, cosa che vale ancora di più per Dota 2, dove sono coinvolti e si possono scegliere più di 100 personaggi unici, ognuno con le sue diverse specializzazioni (a loro volta ricche di diramazioni e variabili) e con la possibilità di utilizzare centinaia di oggetti e armi diverse. Senza dimenticare il fatto che le partite online si svolgono solitamente in squadre da 5, cosa che vuol dire che durante le partite la IA di OpenAI doveva affrontare ogni volta l’imprevedibilità non di una singola persona, ma di cinque.
Disponibile dal 2013 per Windows e iOS e accessibile anche da Steam (si passa da qui), Dota 2 ha quasi 8 milioni di utenti attivi al mese. Ma nessuno bravo come Five, probabilmente.