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Innovazione

Come l'intelligenza artificiale in cantina può fare il vino più buono

Come l'intelligenza artificiale in cantina può fare il vino più buono
L’azienda vinicola Viberti Barolo impiega soluzioni all’avanguardia che consentono di preservare tradizione e artigianalità a prescindere dai gravi cambiamenti climatici
4 minuti di lettura

Barolo e industria 4.0 sembrano un ossimoro della vinificazione. In realtà qualsiasi vino, cui associamo gusto o memoria di qualcosa che ci riguarda, può essere contraddistinto da tantissimi attributi, ma non quello industriale. È un dileggio, un affronto, una diminutio dell'intelligenza delle mani.

Ma secondo Claudio Viberti, barolista di terza generazione dell'omonima azienda famigliare di Vergne (in provincia di Cuneo), non bisogna farsi tradire dalle apparenze del termine industria 4.0: "Se applicata al nostro mondo, serve a salvaguardare ed esaltare l'artigianalità di un prodotto che oggi, per svariati motivi, fra cui i cambiamenti climatici, non si riesce più a fare come vorremmo - ci ha raccontato - L'obiettivo di mantenere quel gusto della tradizione ci obbliga a comportarci diversamente. Non possiamo farlo con gli stessi metodi, sarebbe una presa in giro".

Le certezze metropolitane potrebbero vacillare: là dove si ha ancora il mito del "vino del contadino" (che nelle Langhe si guardano bene dal bere, tranne rare eccezioni) è andata persa qualche puntata sull'innovazione in cantina. La tecnologia, e soprattutto la declinazione 4.0, consente un monitoraggio più accurato, previsione degli effetti degli interventi, una gestione puntuale delle tempistiche e di altri stadi della produzione. Perché fino a prova contraria spremere l'uva e metterla in botte è una cosa ben diversa dal fare il vino.

L'industria 4.0 in cantina

A Vergne, nel territorio comunale di Barolo, la nuova cantina di Viberti in costruzione ospita 10 fermentatori 4.0 da circa 7mila litri ciascuno. Al primo sguardo potrebbero sembrare comuni cilindri in acciaio, come se ne vedono in tante cantine, ma permettono processi di vinificazione e post-vinificazione con gestione e controllo informatizzato, anche da remoto.

In pratica sensoristica, rotori di movimentazione interna e intelligenza artificiale agevolano il lavoro dell'enologo. Agevolano, ma certamente non sostituiscono. Perché si parla di professionisti che hanno un obiettivo ben chiaro, ma un ridotto controllo sull'ingrediente chiave del loro lavoro, ovvero la natura: a ogni vendemmia devono risolvere il tetris che la natura fa calare dal cielo e trovare sulla terra.

Senza entrare troppo nei dettagli della vinificazione è bene sapere che il cambiamento climatico è il principale responsabile delle difficoltà di oggi. Un tempo le uve nebbiolo, con cui si fa il Barolo, venivano raccolte il giorno di Ognissanti, il primo novembre: "Con le prime nebbie, per questo si chiama così. Ma le temperature sono cambiate e non ricordo negli ultimi 10 anni di una vendemmia che sia iniziata dopo il 15 ottobre. Questo vuol dire raccogliere uva più calda con una componente zuccherina e alcolicità differenti", ci ha fatto notare Viberti.

In sintesi la ricetta procedurale che si usava un tempo è stata stravolta. Certo l'uva raccolta, privata dei raspi, viene sempre pressata gentilmente e posta nei fermentatori per avviare la fermentazione alcolica e la macerazione. Ma, come ci ha spiegato il 27enne Andrea Mastrantuono, enologo dell'azienda, questo primo processo oggi dura tra i 7 e i 20 giorni, "anche se ci sono cantine che arrivano a due mesi". E in questo periodo è tutto un gioco di gestione della cinetica della fermentazione, pilotato principalmente dalla regolazione della temperatura. Solo che riscaldare è più complicato di raffreddare, poiché è più difficile attuarlo uniformemente. Ecco che il fermentatore riesce prima di tutto a essere più preciso nell'azione e in secondo luogo a fornire dati più accurati.

Dopodiché, come ha ricordato Mastrantuono, si può intervenire da remoto 24 ore su 24 tramite pc o smartphone e ricevere anche eventuali alert di sicurezza. Questa agevolazione contribuisce a ridurre il tempo di ogni azione umana dell'80%, con conseguente aumento della qualità generale. Un aiuto importante per un'azienda di dimensioni medio-piccole come Viberti (150-200mila bottiglie l'anno).

Lo stesso vantaggio si ha quando si pratica il batonage: "Appena finita la fermentazione malolattica, il residuo solido che si sedimenta è una feccia nobile che se ben movimentata e rimescolata regala sapori, profumi e dolcezza. Quel senso di rotondità di cui spesso si sente parlare", ci ha chiarito l'enologo.

La ricetta suggerita dall'intelligenza artificiale

In ogni cantina italiana c'è sempre un registro che l'enologo aggiorna costantemente con ogni dato giornaliero e la cronaca delle azioni svolte. Un occhio esperto può ricostruire da queste informazioni una sorta di ricetta applicata alla produzione di un singolo vino, che ovviamente è contraddistinto da un gusto unico e distintivo. Cambiando le variabili, cambia il risultato, e nella produzione del vino si tratta di una sfida che relaziona obiettivi di gusto, natura e competenza umana.

Ecco, in tal senso Viberti ha inserito nella centrale di gestione dei nuovi fermentatori 4.0 tutti dati e le ricette impiegate negli ultimi 10 anni. In questo modo l'IA è in grado di suggerire analogie tra annate: "Non fornisce soluzioni ma ci ricorda l'annata cui ispirarci. E così da una parte sappiamo quali azioni è corretto replicare e quali magari non hanno dato i risultati attesi", ha sottolineato Claudio Viberti.

L'enologo, come ha sempre fatto, continuerà a osservare il colore del mosto e ascoltare il suo ribollire per valutare la cinetica di fermentazione, ma semplicemente oggi può disporre di una memoria storica più accurata nell'analisi dei dettagli: "Lo studio nasce per garantire un minore intervento sui vini elevandone la qualità e favorendone l'espressione".

Dal medicale alla cantina

L'ultima novità riguarda l'introduzione di "un macchinario eccezionale", come assicurato dallo stesso Viberti: "Deriva dal medicale ed è un filtro molecolare per gas. Il vino passa attraverso il dispositivo e si  crea una differenza potenziale con un gas inerte di processo, che può essere l'azoto o l'argon. Questo processo riduce l'ossigeno e di conseguenza anche la CO2. E così possiamo ridurre la solforosa ai minimi, ogni rischio di ossidazione e anche (in alcuni vini) eliminare quel poco di bollicina che a volte si crea naturalmente ma appiattisce il gusto".

Il tema centrale è che l'ossigeno è un componente chiave nelle fasi di fermentazione e maturazione, ma in pre-imbottigliamento è un nemico. È responsabile dell'ossidazione che praticamente cambia il colore del vino e ne azzera il gusto. Così si spiega la presenza della solforosa (esplicitata in etichetta): protegge e ha un'azione antisettica sia su batteri che lieviti. Con il dispositivo 4.0 sviluppato dalla veneta Experti il suo impiego si riduce ai minimi, quasi del 40-50% in meno.

Secondo Viberti, insomma, "non bisognerebbe chiudere gli occhi di fronte alle tecnologie che possono esaltare la tradizionalità che tutti cerchiamo. Più che moderni, bisognerebbe essere contemporanei".