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IA generative

Glaze protegge gli artisti dall’intelligenza artificiale: come funziona e come usarlo

Glaze protegge gli artisti dall’intelligenza artificiale: come funziona e come usarlo
Lo scopo è evitare che un determinato stile venga appreso e riprodotto: “È una strategia di attacco, che lavora nello spazio vuoto tra come noi vediamo il mondo e come lo vede un sistema automatico”, ha detto il responsabile
3 minuti di lettura

Nel subreddit di Midjourney, uno dei più noti strumenti di generazione di immagini con intelligenza artificiale, c’è un thread estremamente affascinante, anche se è solo una fotogallery: la prima è una foto scattata in montagna, le successive sono quella stessa foto trasformata in opere di 9 artisti, da Michelangelo a Van Gogh, fino a Salvador Dalì.

Tra le caratteristiche probabilmente più suggestive di sistemi come Midjourney o Dall-E 2 c’è proprio la capacità di adattare la realtà alla visione di artisti più o meno famosi. Questa fattispecie non rappresenta un problema enorme per chi è nei libri di storia dell’arte come Michelangelo o Van Gogh: ma può essere più difficile da accettare per chi vive del proprio lavoro di fotografo o illustratore.

Lo ha fatto presente con molta chiarezza un gruppo di disegnatori italiani, che ha pubblicato un Manifesto a tutela della creatività umana e chiesto all’Unione europea che nel suo AI Act vengano tutelati i diritti di chi nutre le intelligenze artificiali.

Cos’è Glaze e come funziona

Il tema centrale del dibattito è fondamentalmente uno: è legittimo che i servizi di creazione di immagini si arricchiscano anche a partire da opere coperte da diritto d’autore? In attesa di un’evoluzione giuridica del tema, gli artisti possono fare davvero poco per evitare di comparire in un database, se pubblicano su Internet le loro opere. Non esiste, per farla breve, un opt-out dall’essere inserito in un archivio.

Una strategia di difesa arriva dall’Università di Chicago, che ha rilasciato un tool che si chiama Glaze. Il software, scaricabile gratuitamente, previene la possibilità che le intelligenze artificiali imparino a riprodurre lo stile di un determinato artista.

Il funzionamento è relativamente semplice. Immaginiamo di essere un artista e di voler pubblicare un lavoro online: non vogliamo, però, che quanto caricheremo venga usato come addestramento per l’intelligenza artificiale. Insomma, vogliamo evitare di trovare in giro immagini create da IA che ricordino il nostro stile.

Prima di diffondere online quell’opera, possiamo caricarne una versione digitale su Glaze e scegliere di modificarla aggiungendo un determinato tipo di stile, magari quello di Picasso o di Pollock. Il tool, a quel punto, modifica il file in modo invisibile all’occhio umano, ma riconoscibile dall’intelligenza artificiale, che vedrà un mix tra il nostro stile e quello dell’artista selezionato. Non riuscirà, in altre parole, a riprodurre quello specifico tocco, quel modo di dipingere o fotografare: “È una strategia per riprenderci il consenso – ha detto l’artista e illustratrice Karla Ortiz al New York Times – I servizi di intelligenza artificiale guadagnano a partire dalle nostre opere, prendendo dati che non gli appartengono ma che sono proprietà degli artisti che li hanno prodotti”.

Ancora: “Quello che facciamo è cercare di capire come il modello IA percepisce la sua versione di cosa sia lo stile artistico – ha spiegato Ben Zhao, che guida il progetto, in una lunga intervista a TechCrunch - E poi lavoriamo in quella dimensione, per distorcere ciò che il modello interpreta come uno stile preciso”. Detto in altri termini, Glaze lavora in uno spazio vuoto: quello tra come noi vediamo il mondo e come lo percepisce un’intelligenza artificiale.

L’approccio di Glaze è quasi piratesco: l’obiettivo ultimo è confondere le IA, renderle meno efficaci, un po’ come fa, con il riconoscimento facciale, la startup italiana Cap_able: “Bastano anche solo poche immagini modificate per avere un impatto non trascurabile sull'output di questi modelli. Più l'arte viene protetta prima dell’inserimento dei database, più queste IA produrranno stili che sono più lontani dall'artista originale. Quello che stiamo effettivamente facendo, in termini puramente tecnici, è un attacco, non una difesa”.

Quanto conta il database di addestramento di un’intelligenza artificiale

Cosa c’è dentro un’intelligenza artificiale? Detto in altre parole: quali sono i dati a partire dalle quali le IA imparano a conoscere il mondo? La domanda è particolarmente importante, anche alla luce dell’arrivo di GPT-4. Nel presentare il nuovo modello linguistico, OpenAI, ha deciso di non rilasciare alcuna informazione sul dataset, ovvero sui testi sui quali ha addestrato il sistema: “Possiamo considerare finita l’apertura di OpenAI”, ha commentato su Twitter l’esperto di IA Ben Schmidt con un efficace gioco di parole.

Il punto è che conoscere le fonti a partire dai quali le intelligenze artificiali vengono addestrate è particolarmente importante: lo è per capire la loro visione del mondo (e quindi i pregiudizi e gli stereotipi in cui potrebbero cadere) ma anche, soprattutto nel caso delle IA che creano immagini, per difendere il diritto d’autore.

I sistemi come Dall-E, Stable Diffusion o Midjourney vengono addestrati a partire da una mole enorme di immagini, attraverso database, come Laion 5B, che contengono opere d’arte, foto, grafiche, etichettate con il testo corrispondente. Gli archivi sono aperti e a disposizione di chi voglia addestrare modelli, a patto che non ci si lucri: un tacito accordo che i tool di generazione immagini sembrano non rispettare. È anche da questo punto che nascono alcune delle cause che soggetti come Getty Images stanno intentando proprio contro servizi come Stable Diffusion.

In attesa che la giurisprudenza faccia il suo corso e indichi una direzione, una soluzione resta: confondere le macchine, come insegna il progetto di Glaze.