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Intervista

Elena Grifoni Winters: "Con l'intelligenza artificiale, l'esplorazione spaziale diventerà più sicura e meno costosa"

Elena Grifoni Winters
Elena Grifoni Winters 
Parla la responsabile dell’Ufficio per le politiche spaziali e aerospaziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri: "L’attività spaziale è un'occazione anche per rilanciare l'economia nazionale"
6 minuti di lettura

Lo spazio è difficile. E sta complicandosi.

Secondo quanto documentato dalle Nazioni Unite, nei sessant’anni successivi allo Sputnik, il primo satellite artificiale ad aver girato attorno alla Terra il 4 ottobre del 1957, sono stati lanciati oltre il cielo circa 8mila oggetti. Un numero salito a 14mila nei cinque anni più recenti. Nel solo 2021, sono stati  1800 gli apparati spediti oltre l’atmosfera. Significa che, pur in un anno funestato dalla pandemia, il numero globale dei lanci spaziali è stato dieci volte quello del 2012.

È un incremento significativo: anzitutto rivela, con l’immediatezza delle cifre, la crescente complessità, ma anche la centralità del settore. Non solo perché nello spazio oggi convergono l’avanguardia tecnico scientifica, il benessere economico e la strategia geopolitica. Anche perché, sempre di più, lo spazio pervade la vita collettiva, tanto da averci immersi in una quotidianità space based.

In secondo luogo, l’intensità febbrile delle attività extra-atmosferiche richiama con urgenza un altro tema complesso: la necessità di rendere lo spazio sostenibile, in termini economici, di impatto ambientale e di pulizia e gestione delle orbite. È per di più evidente come, per rendere utile (e sensato) l’aumento di dati disponibili grazie agli apparati orbitanti, siano necessari strumenti e metodi di elaborazione sempre più capaci. Concetti come high computing e intelligenza artificiale corredano l’evoluzione spaziale.

Elena Grifoni Winters, oggi a capo dell’Ufficio per le politiche spaziali e aerospaziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, deve confrontarsi con questa complessità ogni giorno.

Classe 1963, cresciuta a Pisa da famiglia fiorentina – “un’altra cosa non semplice da gestire” – subito dopo la laurea in Informatica è stata adottata dall’Agenzia spaziale europea, dove è rimasta per oltre vent’anni fino a diventare Capo del gabinetto del direttore generale, Josef Aschbacher – ruolo per cui, nel 2020, le è stata conferita l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia dal presidente Sergio Mattarella.

Allo spazio non sono arrivata per vocazione, ma per la forte volontà di fare un’esperienza all’estero” racconta. “Dopo la laurea, quando ancora un buon voto – 107, ndr - significava venire contattati dalle aziende, rifiutai un’assunzione alla Olivetti per andare all’Esa. L’intenzione era rimanerci un anno. È andata diversamente”. E non poco: dopo aver lavorato anche negli Stati Uniti e a Parigi, in Italia Grifoni Winters è tornata solo nel 2022, quando l’allora ministro Vittorio Colao le ha affidato la responsabilità del nuovo organo spaziale, creato a settembre – non senza qualche polemica sulle tempistiche – per supportare la Presidenza del Consiglio nelle sue funzioni di “alta direzione, responsabilità politica generale e coordinamento delle politiche dei Ministeri relative ai programmi spaziali e aerospaziali”. Una responsabilità, doveroso sottolinearlo, poi confermata dall’attuale Governo.

Parlando di questioni composite ma a lei famigliari, oggi spazio e intelligenza artificiale come si combinano?
“L'uso dell'intelligenza artificiale è in espansione in ogni settore ad alta tecnologia; machine learning e deep learning vengono sfruttati sempre di più anche nelle attività spaziali. Soprattutto per tre ragioni: per aumentare la velocità di analisi dei dati prodotti per e dallo spazio. Abbiamo sistemi di IA che ci aiutano a ridurre a una quantità utile il numero di informazioni trasferite a terra. Nel 2020, per esempio, una IA sperimentale a bordo del satellite PhiSat-1, deputato a monitorare il ghiaccio polare e l'umidità del suolo, scartò le immagini ritenute irrilevanti. Gli altri due ottimi motivi per usare l’intelligenza artificiale nello spazio sono la riduzione dei costi e dei rischi. Grazie alle intelligenze sintetiche i sistemi sono più efficienti e la possibilità di errore più bassa. Non è un caso, oggi, le si impieghino soprattutto nelle telecomunicazioni, nell'esplorazione spaziale e nell'osservazione terrestre”.

Quali sono i progetti italiani più avanzati?
“Solo a titolo esemplificativo menzionerei la collaborazione, siglata nel 2022, fra Thales Alenia Space e Aiko, una startup di punta nell'IA, che aiuta a elaborare strategie di controllo per rendere le missioni più sicure. Un'altra startup interessante si chiama Studio Map: applica l'intelligenza artificiale all’osservazione della Terra e facilita il controllo del traffico marittimo distinguendone anche la tipologia dei natanti. Riguardo al downstream, attraverso l’accordo con una società straniera specializzata in AI, Enel potrà monitorare lo scioglimento dei ghiacci a monte degli impianti idroelettrici. L’obiettivo è rendere più efficiente la gestione dei flussi d'acqua. Exosoul, un programma nato dal Gran Sasso Science Institute insieme con l'Università degli Studi dell'Aquila, punta a creare un software che rappresenti le nostre ‘preferenze morali’, qualcosa che ci conosca e che possa proteggerci, banalmente, da programmi invadenti se non aggressivi”.

L’intelligenza artificiale può rendere lo spazio più sostenibile?
“Bisognerebbe accordarsi sul concetto di ‘sostenibilità’. Ne esistono essenzialmente due tipi: il primo e più discusso è la sostenibilità green e in quest’ambito l’intelligenza artificiale può contribuire a ridurre l'uso di energia e la quantità di dati da conservare. Oltre agli esempi già fatti, potrei citare il progetto Digital Twin, la creazione di un modello virtuale e dinamico della Terra in cui si possano cambiare i parametri per valutare le conseguenze. È evidente quanto questo sia utile per scopi previsionali. L'altra sostenibilità è di tipo economico: riducendo costi e rischi, lo spazio diventa più accessibile e il suo business model si rinforza. Insomma, possiamo fare più spazio”.

Vero. Com’è innegabile che la guerra in Ucraina stia evidenziando quanto il possesso di dati e infrastrutture spaziali renda un privato rilevante. Non è un rischio per la sicurezza?
“Su questa domanda bisognerebbe riflettere a lungo. Un'infrastruttura strategica privata, però, non è una novità. Penso, per esempio, all'evacuazione di Dunkerque nel 1940: anche in quel caso l'infrastruttura strategica apparteneva ai cittadini. Furono loro, con una flottiglia, a evacuare i soldati dalla costa francese, aspetto che ebbe un peso cruciale. E che dire degli Stati Uniti, dove la maggior parte delle centrali nucleari non è di proprietà pubblica, o della nostra decisione di privatizzare il settore energetico? Quel che conta è che i governi non dipendano dai privati, anche attraverso un contesto regolamentare adeguato. Sono due elementi anche più importanti nello spazio, un settore che negli anni recenti si è sviluppato in modo travolgente. La tecnologia si evolve più rapidamente di quanto facciano le regole, ma in questo caso dobbiamo imporci di accelerare per non perdere il controllo dei processi”.

Che cosa intende?
“In caso di incidente con un drone o con un’automobile a guida autonoma di chi è la responsabilità? E, nello spazio, quanto è fantasioso si riproduca uno scenario simile? Non c'è nemmeno bisogno di evocare una guerra: più semplicemente lo spazio si evolve in un vuoto legislativo, o comunque in una cornice regolamentare vetusta. Bisognerebbe adattare il pensiero e le iniziative intraprese, come il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, in modo che rispecchino la contemporaneità. Fra poco cominceremo a sfruttare le risorse lunari, quelle degli asteroidi, magari anche quelle di Marte. Diventerà difficile ricordare a un'azienda che stia affrontando costi enormi, magari per l’estrazione o le infrastrutture, che i suoi investimenti andranno a beneficio di tutti. Però è questo che stabilisce il Trattato del ‘67. Occorre velocizzare i nostri processi legislativi, mantenendone fermi i principi, certo, ma rendendoli anche più realistici, più compatibili con la vita attuale. Beninteso, la stessa riflessione coinvolge anche la sfera personale. Torno all'esempio di Exosoul: avremo bisogno di proteggerci dallo sviluppo tecnologico che noi stessi stiamo producendo”.

Gli investimenti spaziali dell’Italia non sono mai stati ingenti quanto quelli attuali. Quali sono gli obbiettivi del Paese, in un contesto di crisi europea e di concorrenza, anche privata, crescente?
“Intanto si dovrebbe ricordare che Italia ha sempre investito nello spazio, fin dai primordi del settore, sebbene sì, mai come negli ultimi cinque anni. Basti pensare alla sottoscrizione alla Ministeriale Esa del 2019 (2,28 miliardi di euro, ndr) e a quella, addirittura superiore, del 2022, di oltre 3 miliardi. L’Italia è anche uno dei Paesi che hanno puntato sullo spazio per gli investimenti del Next Generation Eu. Insomma, è evidente l’Italia creda nell’attività spaziale anche per rilanciare l'economia nazionale. I risultati, d’altro canto, sono eccellenti: abbiamo un'industria forte, che vince contratti a livello globale. In più abbiamo sempre dimostrato coerenza in un settore, lo spazio, in cui i programmi vanno pensati a lungo termine, a volte addirittura vent'anni in anticipo. Per questo, da un punto di vista programmatico, le nostre priorità rimangono invariate: osservazione della Terra, lanciatori ed esplorazione. Alla recente Ministeriale Esa abbiamo tuttavia approcciato ambiti nuovi, come la sicurezza: l'Italia è fermamente intenzionata a entrare nel programma Secure Connectivity della Commissione europea, perché reputa sia la porta per qualcosa in grande espansione. Poi, certo, è innegabile sia un periodo difficile: per questo, reputo indispensabile si ponga grande attenzione alla politica industriale. Dobbiamo assicurarci, in particolare come Europa, di dare alla nostra industria gli strumenti per rimanere competitiva a livello globale”.

A proposito, l’Europa può ancora rivendicare un ruolo centrale nello spazio?
“È basilare e urgente si faccia un accordo su una politica industriale che da una parte rifletta l'ambizione continentale e dall'altra rispetti gli interessi strategici nazionali. Tutto senza dimenticare di dover essere competitivi su scala mondiale. È una sfida che dobbiamo iniziare ad affrontare già quest'anno. L'Europa ha un ruolo centrale per lo spazio, è indiscutibile: abbiamo un sistema educativo forte e un’industria non meno vigorosa. Siamo leader in settori cruciali, come l'osservazione della Terra. Il fatto è che non basta, o non basta più; il settore sta cambiando e dobbiamo adeguarci. Credo ci siano tre direttrici per rinforzarci e mantenere il nostro ruolo: anzitutto investire di più in educazione e ricerca. In secondo luogo trovare il modo per assicurare una maggiore sinergia e gestire le competitività fra nazioni. Questo perché il settore spaziale, in Europa, non è grande abbastanza per sostenere rivalità intestine. Quindi, terzo elemento, occorre dotarsi di regole più snelle per la nostra industria. Dobbiamo sveltire i tempi per i contratti, alleggerire le procedure. Non è un caso questo aspetto costituisca uno dei punti forti dell’approccio allo spazio degli Stati Uniti”. 

Lo spazio è un settore tradizionalmente maschile. Che cosa si sta facendo, in Italia e in Europa, per cambiare questa situazione?
“Tutti i settori ad alta tecnologia sono maschili. Oggi ci sono molte iniziative che incoraggiano le ragazze a seguire facoltà scientifiche, penso per esempio a PinKamp dell'Università dell'Aquila o agli STEM Days di Torino. Non mancano nemmeno le associazioni che puntano allo stesso risultato. Pian piano i numeri stanno cambiando. Lo ha testimoniato anche la recente selezione per gli astronauti dell’Agenzia spaziale europea, a novembre: su 22mila candidati, 5mila erano donne, una crescita significativa rispetto al concorso precedente. Peraltro, dei cinque astronauti di carriera selezionati, due sono donne. Nel gruppo totale, che comprende anche riserve e para-astronauti, le donne costituiscono la metà. Come dicevo, la crescita è lenta, ma comprensibilmente: è un processo che nasce alla base e dipende da quante ragazze si iscrivono alle facoltà scientifiche, o entrano nel settore senza perdersi nel percorso. Dove la presenza femminile latita, o comunque cresce con una flemma inaccettabile, è invece nei ruoli apicali. Si dovrebbe avere il coraggio di assumere donne in posizioni di alta responsabilità, anche se, a parità di competenza, dovessero avere meno esperienza dei colleghi maschi. Sono certa che questo apparente ‘azzardo’ in realtà paghi. A questo aggiungo un altro aspetto regolamentare: è necessario, soprattutto nei Paesi in cui le donne hanno un ruolo più importante nella gestione famigliare, trovare gli strumenti per alleggerirne il carico. Al contrario, continueremo a disperdere talento prezioso”.

E a complicare lo spazio.