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Oltre i cookie, ecco perché tutti vogliono il nostro indirizzo di posta elettronica

Oltre i cookie, ecco perché tutti vogliono il nostro indirizzo di posta elettronica
Il tracciamento passa sempre di più attraverso un’informazione che diffondiamo con troppa leggerezza. A volte non possiamo farne a meno, ma ci sono modi per limitare danni e preoccupazioni
3 minuti di lettura

A pensarci bene, la mail la trattiamo proprio male. La condividiamo ovunque, la usiamo per qualsiasi servizio o piattaforma, dal supermercato allo streaming, dal delivery alla raccolta punti. E anche l’accortezza (in voga soprattutto qualche anno fa) di usarne alcune per certi scopi e altre per le faccende ufficiali si è un po’ affievolita nel tempo.

Questo è un grave errore, perché l’indirizzo di posta elettronica, che per sua natura è pubblico in quanto pensato per le comunicazioni interpersonali, meriterebbe comunque un po’ di privacy e una diffusione più discreta. Rimane un elemento personale basilare e sempre più prezioso.

Dai cookie all’indirizzo mail

L’indirizzo mail, ricorda Brian X. Chen in un curioso approfondimento sul New York Times, non serve solo a contattarci: per chi si occupa di pubblicità online, per gli editori e per gli sviluppatori e i produttori di app è un indizio ricorrente per seguirci online e proporci pubblicità targettizzate a seconda di dove navighiamo. Accade a causa della progressiva riduzione del peso e delle funzionalità legate ai cosiddetti cookie, semplici pezzi di codice che per anni hanno svolto questo lavoro di profilazione digitale sottobanco e che ora hanno vita ben più complessa. Insomma, sono molto meno utili a profilarci e offrirci pubblicità mirate. Senza contare che sono sostanzialmente irrilevanti in gran parte dei nuovi canali digitali, dalle tv connesse alle stesse applicazioni per smartphone e tablet.

La mail, richiesta con sempre più insistenza e frequenza, è uno dei più elementari canali alternativi. Ed è anzi ben più utile non solo dei cookie ma anche di altre informazioni personali: “Posso prendere il tuo indirizzo mail e trovare dati che potresti non aver nemmeno realizzato di avere dato a un certo brand - ha spiegato Michael Priem, amministratore delegato di Modern Impact, una società pubblicitaria di Minneapolis, sull’NYT - La quantità di dati disponibili su di noi come consumatori è letteralmente scioccante”.

Che cos’è Unified ID 2.0

L’indirizzo mail è dunque essenziale per implementare altri sistemi di tracking che hanno nel tempo sostituito cookie e tracker (e che creavano la nostra impronta digitale) come Unified ID 2.0, o UID 2.0, sviluppato da Trade Desk, una società californiana leader del supporto al cosiddetto programmatic advertising e già partner di molti colossi, da P&G e Disney fino ad Amazon Web Services. Il sistema trasforma la mail, concessa magari in cambio di un piccolo sconto su un sito o dell’iscrizione a una newsletter, in un elemento informativo, una stringa alfanumerica anonimizzata che viene però associata a ogni altro servizio che si serva di UID 2.0. Questo accade anche con i numeri di telefono. Così ai pubblicitari, ai centri media e a chi si occupa di inserzioni online viene permesso di seguire l’utente fra le varie piattaforme (da una di shopping a un servizio di streaming, per esempio) selezionando gli annunci più efficaci e pertinenti. Nessun pasto è gratis, d’altronde, neanche su Internet. Anzi, soprattutto su Internet.

Gli altri modi di sfruttare la posta elettronica

E se Mozilla trova UID 2.0 “un forte passo indietro” per la privacy, ci sono anche sistemi più semplici per mettere a frutto un indirizzo mail. Banalmente, potrebbe contenere nome e cognome e un sito o un’app potrebbero caricarli nei database di un broker pubblicitario per tentare un accoppiamento con profili eventualmente già presenti e contenenti un numero tale di dati da poter proporre pubblicità più mirate di quelle generiche. Insomma: se ci si domanda come mai, nonostante tutti i dinieghi all’uso dei cookie e la massima attenzione a bloccare i tracciamenti delle app, la pubblicità sia ancora invasiva e incredibilmente profilata, è perché la nostra mail sta ancora circolando troppo. E in certi casi, o per certi lavori, non ci si può fare nulla. O forse sì.

Come riguadagnare un po’ di privacy

Per esempio, si può tornare alle vecchie abitudini e creare una mail per ogni servizio, di modo da usarla solo per quella piattaforma specifica, almeno per le più importanti e utilizzate più spesso, da Netflix ad Amazon passando per le app più popolari. Ma è senz’altro un lavoro complesso e noioso.

Si possono poi utilizzare i servizi che alcuni gruppi, come Apple o Mozilla, offrono per mascherare l’indirizzo mail con una serie di indirizzi alias che inoltrano i messaggi a quello reale. Mozilla offre 5 mail alias gratuite, buone anche per il telefono, col servizio Firefox Relay (e chiede 99 centesimi al mese per ogni alias aggiuntivo), mentre Apple propone l’opzione con la funzionalità Nascondi la mia mail integrata in Accedi con Apple e iCloud Plus, il suo servizio di abbonamento cloud a pagamento.

Non bisogna poi dimenticare di escludere la propria mail, quando possibile, dall’impiego con sistemi come UID 2.0 (in questo caso lo si può fare online). Oppure si può non fare nulla: per molti, le pubblicità mirate e rilevanti sono utili, le preoccupazioni per la privacy non così scottanti, e quindi si può continuare a condividere la mail senza problemi. Anche in questi casi, vale comunque almeno la pena crearne un paio alternative per i servizi commerciali più aggressivi, i programmi fedeltà delle catene dei brand come i supermercati o le newsletter non informative.