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Il report

Più lavoro, più dipendenti donne ma ancora poco sostegno dallo Stato: l’industria del videogioco in Italia

Più lavoro, più dipendenti donne ma ancora poco sostegno dallo Stato: l’industria del videogioco in Italia
Il rapporto 2022 presentato da Iidea registra una leggere flessione del mercato ma evidenzia una grande vivacità dell’industria nostrana
4 minuti di lettura

Iidea ha svelato a Roma, alla presenza della senatrice Lucia Borgonzoni, sottosegretario di Stato al ministero della Cultura, il rapporto annuale 2022 sul mercato e sull’industria del gaming in Italia.

Quest’anno l’associazione ha fotografato contemporaneamente due segmenti del settore: i consumi di videogiochi e l’industria creativa del nostro Paese.

Il mercato

Il mercato dei videogiochi in Italia, dopo anni pandemici di crescita esponenziale, registra una lieve flessione dell’1,2% rispetto al 2021, passando da 2 miliardi e 243 milioni a 2,2 miliardi di euro. Secondo Marco Saletta, general manager di Sony Interactive per Western&Southern Europe e anche presidente di Iidea, “il nostro mercato è in linea con le rilevazioni di quelli europei. Quasi tutti hanno sofferto molto della mancanza delle console di nuova generazione. La lettura del dato che fa Iidea sul 2022 è comunque particolarmente positiva, nell’arco di 3 anni il valore si è stabilizzato a 2,2 miliardi di euro, rivelando che, anche in post-pandemia, il videogioco resta una fonte di intrattenimento irrinunciabile per gli italiani. Soprattutto se fruito su dispositivi mobili”.

Come ha rilevato Saletta, sulla flessione delle vendite ha influito la difficoltà di approvvigionamento di console di nuova generazione: l'hardware si attesta a 409 milioni di euro, con un calo del 7,7% rispetto alla rilevazione precedente. Il software si attesta invece a 1791 milioni di euro, con una lieve contrazione del 0,5%. Ancora Saletta: “L'hardware ha pesato molto nel saldo dell’anno 2022, ma quello che stiamo vedendo ora è una forte domanda di console di nuova generazione. Valutare quello che accadrà da qui alla fine del 2023, con il ripristino della catena di approvvigionamento delle console, è difficile. Ma c’è da essere ottimisti”.

Anche se il mercato del software in formato digitale resta dominante e copre il 42,3% degli acquisti su console e PC, si vede comunque un’interessante risalita di vendita dei prodotti nella versione fisica nei negozi al dettaglio, il 15,7%, che sale del 5,2% rispetto al 2021, mentre il restante 42% è rappresentato dalle app. Saletta ci ha ricordato che “agli italiani piace fare acquisti nei negozi e quelli del nostro Paese sono particolarmente bravi a generare traffico nei negozi, a invogliare e interessare la clientela. Inoltre, il costante aumento di videogiochi disponibili certifica la varietà dei titoli giocati. Questo è un trend che avevamo già notato lo scorso anno”.

I consumatori

Il 32% della popolazione italiana tra i 6 e i 64 anni ha utilizzato i videogiochi nel tempo libero: sono 14,2 milioni di persone, in flessione rispetto ai 15,5 milioni dell’anno precedente. La contrazione è dovuta alla diminuzione del numero di videogiocatori su computer, in linea con altri mercati europei.

Il videogiocatore italiano ha in media 30 anni, l’80,9% è maggiorenne e il 19,1% ha un’età compresa tra i 6 e i 17 anni. Anche se osservando la ripartizione del pubblico per fascia di età si rileva il maggiore peso del segmento tra i 45 e i 64 anni (24,6%) e di quello tra i 15 e i 24 anni (24,0%), il dato dei maggiorenni dell’80,9% è molto interessante perché rispecchia le rilevazioni Istat sulla natalità italiana ai minimi storici. Secondo Saletta, “i dati non fanno altro che rappresentare la società. Il modello videoludico non fa eccezione. L’importante però è offrire sempre prodotti adatti e certificati per le diverse fasce d’età”.

Per finire, le donne rappresentano il 42% del pubblico dei videogiocatori e il tempo medio di gioco è diminuito rispetto all'anno precedente, 8,7 ore a settimana diventano 7,52, tornando a livelli pre-pandemici. Gli italiano giocano principalmente su dispositivi mobili (69,7%), seguiti da console (45,8%) e PC (38%).

Il settore videoludico in Italia

Anche se l’industria dei videogiochi italiana resta piccola, in un anno ha letteralmente raddoppiato gli addetti, con un +50% rispetto al 2021 che porta i professionisti impiegati a 2400. Luisa Bixio, CEO di Milestone e vicepresidente di Iidea, ci ha spiegato che “questa crescita è l’effetto di più fattori. Il mercato sta crescendo sempre di più, e questo porta gli investitori e gli imprenditori a guardare con interesse il segmento del videogioco. Le istituzioni hanno cominciato a supportare il mercato, dando una spinta competitiva, creando interesse anche per investitori stranieri. C’è molta strada da fare, ma l’inizio è stato notato anche a livello internazionale. Inoltre alcune delle aziende già strutturate, come Milestone, si stanno espandendo molto e negli anni sono uscite alcune persone che, avendo già un background, hanno avviato nuovi studi che piano piano stanno a loro volta crescendo”.

Su questo versante, IIdea ha fatto un lavoro di comunicazione sull’industria sia a livello istituzionale sia nel mondo del videogioco internazionale, ci ha detto ancora Bixio: “Publisher internazionali hanno investito in studi Italiani, partendo da zero o acquisendo strutture esistenti, e poi stanno investendo nella crescita e corsi formativi specifici stanno facilitando la ricerca di persone, giovani ma che possiedono una formazione qualificata”.

Il tessuto imprenditoriale nazionale sta passando dalla fase di startup e microimpresa alla fase di PMI, piccole e medie imprese innovative e creative: “Anche se la nostra industria è in crescita, non si può ancora parlare di consolidazione. Ritengo che potremo parlare di stabilità del settore quando avremo un’industria 10-20 volte più grande, con aziende di centinaia di persone e studi più piccoli, in un ambiente sinergico, di collaborazione con università, istituzioni e aziende. Come associazione stiamo lavorando per raggiungere questo obiettivo”.

Aumentano le realtà con oltre 10 dipendenti, che sono il 39% sul totale, cresce anche il fatturato (+30% rispetto al 2021), che si attesta a 130-150 milioni di euro. Il 24% degli impiegati nella produzione è donna, mentre l'83% ha un'età inferiore ai 36 anni. Un altro dato interessante è la rappresentanza femminile del settore del 24%, superiore di 3 punti rispetto alla media europea, come confermato da Bixio: “La presenza sul territorio italiano di numerosi team di piccole dimensioni, molti dei quali fondati negli ultimi 3 anni e con una età media giovane, dà la possibilità a più ragazze di trovare uno sbocco professionale in questo settore. In studi piccoli, co-fondati insieme a coetanei. Inoltre, in studi di queste dimensioni si vede un maggior equilibrio fra funzioni artistiche o marketing, a grande presenza femminile, e funzioni più tecniche e di programmazione”. Ancora: “Un dato interessante che possiamo citare è che le bambine e ragazze che videogiocano hanno una probabilità 3 volte superiore di intraprendere una carriera Stem rispetto a quelle che non lo fanno”. Il mercato di destinazione principale per la produzione italiana è l'Europa con il 43%, seguita dal Nord America (40%) e dai mercati asiatici e dall’Australia.

I nodi maggiori restano comunque gli investimenti e il capitale: la maggioranza degli operatori (l’86%) continua ad affidarsi al capitale personale per finanziare le attività, anche se è aumentato il sostegno delle istituzioni pubbliche, che passa dal 24% del 2021 al 29%, e delle imprese private, che dal 9% passa al 19%.

In particolare, inizia a intravedersi l'impatto pubblico nel settore, come effetto diretto dell'attuazione del tax credit e di alcune importanti acquisizioni internazionali che di recente hanno interessato alcuni studi italiani: “Credo che il supporto delle istituzioni possa essere la chiave - ci ha detto Bixio - Sviluppare un videogioco in Italia può richiedere investimenti che vanno da centinaia di migliaia di euro a decine di milioni. Quando in Francia, in Inghilterra, in Canada e in Germania ci sono tax credit al 35%, con limiti per prodotto o azienda infinitamente più alti dei nostri, chiaramente la competitività dell’industria italiana si riduce”.

Secondo la vicepresidente di Iidea, insomma, “dobbiamo fare comprendere alle istituzioni che investire in questa industria vuole dire lavoro privilegiato per i nostri giovani e fatturato all’estero al 90%. Vuole dire attrarre investitori nelle nostre aziende e aprire nuovi studi di sviluppo. I talenti ci sono, gli studi stanno crescendo: se le istituzioni ci seguiranno, arriveranno sempre più investitori, creando un circolo virtuoso”.