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Ecommerce

Le startup nate online hanno scoperto un vecchio modo di fare affari: aprire negozi fisici

Le startup nate online hanno scoperto un vecchio modo di fare affari: aprire negozi fisici
L'aumento dei costi della pubblicità online e le nuove abitudini dei consumatori cambiano le strategie delle aziende nate come ecommerce. Una tendenza che riguarda anche le startup italiane. Le vendite online reggono, ma spesso nei negozi si fanno affari migliori. Un'inchiesta 
3 minuti di lettura

Le startup nate come ecommerce stanno scoprendo un nuovo, inatteso metodo per aumentare il proprio giro d’affari. L’apertura di negozi fisici. Complice l’impennata dei prezzi per gli annunci online e una maggiore propensione all’acquisto nei negozi dopo il boom del commercio elettronico durante la pandemia, le aziende nate durante gli anni d’oro della digital economy hanno cominciato a sperimentare modi alternativi di vendere i propri prodotti. Primo tra tutti, il più antico. Aprire negozi, fissi o ‘Popup’ temporanei.

 

Velasca: dall'ecommerce ai canali fisici, 25 milioni di fatturato 

“È una tendenza che si sta rafforzando negli ultimi mesi. Noi avevamo intuito che si sarebbe andati in quella direzione già nel 2014, quando abbiamo provato a sperimentare le vendite fisiche prendendo in affitto un Ape car”. Enrico Casati è cofondatore di Velasca. Classe 1987, laurea in Management all’Università Bocconi di Milano, Casati ha fondato Velasca nel 2013 a Milano con Jacopo Sebastio. L’idea è piuttosto semplice: creare ecommerce di scarpe da uomo artigianali prodotte da piccoli laboratori locali. Marchigiani in particolare. Oggi l’azienda ha 90 dipendenti, 20 punti vendita, negozi monomarca a Parigi, Londra e New York e un fatturato previsto per il 2023 di 25 milioni.

“Siamo nati come ecommerce, ma ci siamo accorti un po’ in anticipo sui tempi che le vendite su canali tradizionali come i negozi offrivano un’opportunità che l’online non dava”, aggiunge il manager. La pandemia ha accelerato il trend. “L’ecommerce ha accelerato tanto. Oggi ha frenato. Certo, non si può dire di essere tornati a livello pre pandemia, un rallentamento c’è stato”, ragiona. Puntare sui negozi fisici non è solo una questione di opportunità. Ma quasi di necessità.

“I costi della pubblicità online sono aumentati almeno del 50%. E oggi se non si migliora la quantità dei contenuti è difficile ottenere un buon tasso di conversione”, ovvero il numero di clienti potenziali acquisiti in base al numero di click ottenuti. Il passaggio dall’ecommerce al canale fisico per una startup non è scontato. Velasca ad esempio ha ottenuto investimenti dal fondo di venture capital P101, specializzato a finanziare aziende digitali: “All’inizio non è stato facile convincerli. Poi, col tempo, ci hanno dato ragione”, ammette Casati.

 

Una tendenza che riguarda molte startup ecommerce in Italia

Questa conversione ai canali fisici degli ecommerce è un trend che in Italia è attivo già da qualche anno. Apripista è considerata la torinese Lanieri, fondata nel 2012 da Simone Maggi e Riccardo Schiavotto, incubata a I3P del Politecnico piemontese e venduta nel 2020 al Gruppo Reda. Lanieri pochi anni dopo la sua fondazione ha subito puntato anche sui canali di vendita fisici. Così come hanno fatto decine di startup italiane negli ultimi anni.

Miscusi dopo la pandemia ha chiuso il suo canale ecommerce per la vendita di pasta basata su agricoltura rigenerativa. Oggi punta solo sui negozi fisici, ha raccolto 20 milioni di euro di finanziamenti e continua ad aprire punti vendita. Stesso percorso per Endela, brand di mota etica made in Tanzania. Ma su questa traccia non si sono solo aziende di moda. Anche startup biomedicali come la torinese Epicura hanno aperto nell'ultimo anno spazi fisici. Diversi operatori di settore confermano a Italian Tech che il trend riguarda un po’ tutte le aziende di ecommerce, che in molti casi faticherebbero a trovare commessi e responsabili di negozio soprattutto nel centro e nel nord Italia.

 

L'ecommerce regge dopo il boom del Covid. Ma qualcosa è cambiato

Questa riscoperta dei canali fisici tuttavia non riguarda solo l’Italia. Secondo il Wall Street Journal le startup americane stanno facendo lo stesso. L’apertura di negozi, al netto dell’aumento per le spese di affitto e gestione, aiuta le aziende a trovare una loro stabilità laddove l’online è turbato da fluttuazioni di prezzo vertiginose e a tratti imprevedibili. L’età d’oro dell’ecommerce e delle aziende nate esclusivamente per vendere i loro prodotti online è cominciata nel 2015 ed è durata fino alla fine delle pandemia da Covid-19. Poi qualcosa è cambiato.

L’aumento dei costi della pubblicità online, spiegano diverse ricerche di mercato, è dovuto soprattutto ad un fattore: tutti hanno un ecommerce e tutti vogliono portare traffico al proprio sito per cercare di attrarre nuovi clienti. Certo non si può dire che il canale fisico ha segnato un nuovo sorpasso sull’ecommerce. Dopo la pandemia, spiega una ricerca Netcomm, il numero di acquirenti online è cresciuto fino a raggiungere i 33 milioni. Ma il dato più rilevante è che l’online è diventato il miglior alleato delle vendite al dettaglio su canali fisici: il 40% delle persone infatti si informa online, poi compra in negozio. Quello che si cerca è dunque una mediazione.

 

L'omnicanalità è il nuovo mantra delle aziende online

“Uso un brutto termine. Omnichannel. Ecco, oggi il tema dell’omnicanalità delle vendite è attualissimo”. Chiara Marconi è fondatrice di Chitè, ecommerce di intimo per donna. Nata nel 2018, Chitè l’anno successivo ha aperto il primo canale fisico. Oggi sono tre: Milano, Bologna e Barcellona. Ha 14 dipendenti. “Essere solo online poteva essere interessante fino al tempo del Covid. Poi tutti i marchi nati solo online si sono spostati sul canale fisico”. Questioni di opportunità, ma anche di ottimizzare le spese per il marketing. “Se si vuole fare bene digital marketing si devono spendere almeno 50 mila euro al mese. Costa di più che aprire un negozio e assumere qualcuno per gestirlo. Anche perché se online facciamo 40 mila clienti al mese, con un tasso di conversione (clienti che poi acquistano qualcosa, ndr) del 2% se si è bravi, in un negozio in media entrano 400 persone al mese con un tasso del 40-60%”.

Le nuove norme sulla privacy per le app volute da Apple hanno complicato il quadro per chi fa commercio online: “Se prima potevo dire a Facebook o Google di fare una campagna mirata su un determinato target di persone, che magari avevano messo like a determinate pagine, oggi non posso farlo più”, aggiunge Marconi. “Senza contare che oggi tutti sono online. E tutti vogliono fare traffico sui propri siti”. L’effetto è che all’aumentare della domanda, aumentano i costi. “Faccio un esempio: oggi se cerchi su Google una casa funeraria su Milano, le prime pagine suggerite, quelle con investimenti in pubblicità, potrebbero pagare fino a 25 euro per click ottenuto. A prescindere dal tasso di conversione”, ragiona l’imprenditrice. Costi spesso difficili da sostenere.