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Gli influencer fanno causa allo Stato del Montana dopo il ban di TikTok

Gli influencer fanno causa allo Stato del Montana dopo il ban di TikTok
La legge avrà probabilmente vita breve, ma per la piattaforma cinese non tira una bella aria: sono tanti i Paesi dove è parzialmente proibita, anche se solo ai funzionari governativi
3 minuti di lettura

Tu mi togli una fonte di reddito per ragioni politiche e io ti faccio causa: TikTok è stato bandito, per tutti, dal Montana con una legge controfirmata dal governatore Greg Gianforte lo scorso mercoledì. È il primo Stato americano a estendere il divieto di scaricamento e di utilizzo su scala generale, anche se nel mondo non mancano altri Paesi in cui l’app cinese è proibita a tutti: sono l’India, dove il blocco è scattato nel 2020, e l’Afghanistan.

La nuova legge del Montana, in vigore dal 2024

Tornando agli Usa, secondo la nuova legge, i fornitori di app (Apple e Google, sostanzialmente) dovranno rendere l’applicazione indisponibile nel territorio del Montana a partire dal primo gennaio 2024, con multe fino a 10mila euro in caso non rispettino la prescrizione. Non è prevista alcuna sanzione per gli utenti né si capisce come potrà essere fatto rispettare un simile divieto, in particolare per chi ha (o avrà) l’app prima di quella data.

Comunque sia, un gruppo di influencer statunitensi ha intentato una causa allo Stato così da poter rimettere mano al divieto fortemente voluto dal repubblicano Gianforte con l’esigenza di “proteggere dati privati e informazioni personali dei cittadini del Montana dalla possibilità che siano raccolti dal Partito Comunista Cinese”.

La causa degli influencer

Fra chi ha denunciato ci sono nomi come Carly Ann Goddard, che conta quasi 100mila follower, e Alice Held (nota come @mountainalice, 215mila), oltre ad altri con seguiti meno importanti: hanno citato in giudizio il procuratore generale dello Stato, Austin Knudsen, con argomentazioni in fondo prevedibili. Il divieto, a loro avviso e a detta di molti, sarebbe incostituzionale e violerebbe il Primo Emendamento, quello che (fra l’altro) garantisce libertà di pensiero, parola e stampa. È la stessa posizione dell’azienda, che tramite la portavoce per l’America, Brooke Oberwetter, ha replicato spiegando appunto che la legge “vìola il Primo Emendamento”. Anche da parte di TikTok potrebbe arrivare una causa parallela, innescando per il nuovo provvedimento un complicato percorso a ostacoli: "Il Montana non può vietare ai cittadini di visualizzare o postare su TikTok più di quanto possa vietare il Wall Street Journal sulla base dell'identità del suo proprietario o delle opinioni che trasmette” si legge nell'appello.

C’è anche un discorso di competenze legislative, visto che per i firmatari della causa il governo locale starebbe cercando di appropriarsi di poteri che spetterebbero semmai a quello federale (e in effetti TikTok negli Usa è vietato su sistemi e dispositivi federali) entro il cui perimetro rientrano le questioni di sicurezza nazionale.

I Paesi in cui TikTok è vietato (e a chi)

Resta il fatto che TikTok è almeno parzialmente vietato in molti Paesi del mondo. Oltre a India e Afghanistan, i blocchi riguardano fondamentalmente i dispositivi appartenenti ai governi o a organi governativi. In Australia, l’app non si può installare sui telefoni di alcuni esponenti di agenzie governative, in Belgio su quelli dei dipendenti federali, in Canada su tutti quelli governativi. Ancora: in Danimarca sugli smartphone dello staff del ministero della Difesa, nelle istituzioni europee su quelli dei dipendenti di Parlamento, Commissione e Consiglio Ue e in Francia sui dispositivi utilizzati per lavoro dai funzionari pubblici. Chiudono l’elenco la Lettonia, dove la piattaforma deve restare fuori dai device del ministero degli Esteri, la Nuova Zelanda (solo per membri del Parlamento), Norvegia, Taiwan e Regno Unito, sempre sui telefoni di funzionari e dipendenti governativi.

I timori dei governi occidentali

Del poco più di un miliardo di utenti attivi a livello globale di TikTok, la gran parte si trova proprio in Europa e negli Stati Uniti. Ormai da anni esperti ed esponenti di vari governi temono che l’applicazione possa funzionare da cavallo di Troia della Cina per spiare gli utenti, penetrare i dispositivi di personalità che possano portare ad acquisire dati e informazioni riservate o più semplicemente per fare una scorpacciata di sterminate moli di dati a buon mercato.

Appena lo scorso marzo, il New York Times ha per esempio rivelato che il dipartimento di Giustizia statunitense avrebbe aperto un’indagine per capire se la società madre del social, la cinese ByteDance, abbia spiato negli ultimi anni una serie di giornalisti americani, alcuni dei quali specializzati in tecnologia. Da parte dell’app non sono mancate, per esempio nei confronti dell’Unione europea, una serie di mosse con l’obiettivo di rassicurare regolatori e opinione pubblica.

Per TikTok, che in Occidente lavora formalmente attraverso una controllata californiana, non tira dunque una bella aria: se il divieto del Montana non avrà probabilmente vita troppo lunga, lo stesso Joe Biden ha di recente invitato ByteDance a cedere le sue quote di maggioranza a soggetti statunitensi e il misterioso Shou Chew, CEO del gruppo, era stato ascoltato in audizione da membri del Congresso Usa lo scorso marzo. Senza troppo successo e con qualche imbarazzo, a dire il vero.