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L’intelligenza artificiale e il pensiero laterale

L’intelligenza artificiale e il pensiero laterale
3 minuti di lettura

Da molti anni siamo abituati ad avere intorno a noi algoritmi basati su regole, sistemi che si comportano esattamente come dovrebbero e che rispondono in modo corretto alle nostre esigenze.

Si pensi per esempio a come funziona un bonifico bancario: inseriamo i dati richiesti e ci aspettiamo che il denaro venga spostato da un conto all’altro, il tutto perché i sistemi seguono regole precise con cui sono stati programmati. Può accadere che ci sia qualche malfunzionamento, ma si tratta di problemi che vengono individuati e risolti, in modo che il sistema torni a funzionare per come era stato concepito.

Con il tempo ci siamo abituati anche agli algoritmi di intelligenza artificiale, sistemi in grado di operare delle scelte in autonomia sulla base del contesto e di quello che la macchina è in grado di imparare grazie all’utilizzo che se ne fa. La prossima canzone su Spotify, i prodotti consigliati su Amazon, la pubblicità sui social network, non sono affatto casuali, al contrario sono collegati ai nostri gusti, alle nostre preferenze, alla nostra propensione all’acquisto. Nulla è casuale, tutto è guidato da algoritmi che, giorno dopo giorno, imparano qualcosa di noi e che sono progettati per fornirci qualcosa che in qualche modo possa incontrare il nostro gusto o possa stimolare in noi la voglia di comprare qualcosa.

Più recentemente, con la disponibilità pubblica di strumenti come ChatGPT, anche i non addetti ai lavori hanno potuto sperimentare la generazione di testi complessi a partire da una base di conoscenza enorme, ottenendo un prodotto a volte di buona qualità realizzato grazie a un’ottima capacità di costruzione delle frasi. Questo ha consentito di avere contenuti tendenzialmente scritti molto bene, la cui qualità, seppur con dei limiti, appare buona, ma la cui veridicità è un mistero. Quest’ultimo punto dipende della base di conoscenza che, sfortunatamente, ha privilegiato la quantità alla qualità, incorporando quindi una parte di informazioni corrette e un’altra parte di informazioni completamente sbagliate.

Ne consegue che il risultato finale non potrà che essere impreciso e, in generale, non ci si potrà fidare dei contenuti prodotti, anche saranno scritti in modo molto convincente.

Fino a qui abbiamo visto algoritmi in grado di prendere decisioni basandosi unicamente su regole preimpostate in fase di programmazione, fino ad arrivare ad algoritmi in grado di scegliere basandosi su concetti e conoscenza acquisita in modo massivo e poi ad ogni successiva interazione.

In ogni caso l’obiettivo dell’algoritmo è sempre stato quello di risolvere i problemi assegnati prendendo decisioni all’interno di un preciso schema di riferimento, senza avere la libertà di affrontare il tema in modo completamente diverso o di sovvertire le regole di funzionamento. Cosa accadrebbe invece se avessimo algoritmi in grado di utilizzare il pensiero laterale o di agire completamente al di fuori degli schemi prefissati per svolgere nel migliore dei modi i compiti che a loro sono stati assegnati?

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Il pensiero laterale è una tecnica di pensiero umana che consiste nell'analizzare un problema da diverse prospettive, generare idee fuori dagli schemi e trovare soluzioni inusuali e innovative. Si tratta quindi di qualcosa di molto lontano dalla logica di funzionamento di algoritmi a regole, in quel caso non esistono gradi di libertà, ma solo la sequenza chiara e incontestabile di cosa deve accadere in funzione delle condizioni al contorno.

Gli algoritmi basati su intelligenza artificiale tendenzialmente si basano su una gran quantità di dati presenti nella base di conoscenza, ma l’obiettivo per la rete neurale è trovare una corrispondenza con uno degli schemi risolutivi che la macchina conosce come validi, quindi molto spesso il lavoro di questi algoritmi si limita a individuare soluzioni ragionevoli e all’interno di insiemi di risoluzioni valide. Anche in questo caso quindi, nonostante la presenza di reti neurali e grandissime quantità di dati, molto spesso quello che si ottiene sono soluzioni piuttosto tradizionali.

Se volessimo davvero sfruttare le enormi potenzialità degli algoritmi basati su intelligenza artificiale dovremmo proprio muoverci all’interno del contesto del pensiero laterale, cercando di liberare alcuni vincoli e consentire alla macchina di proporre soluzioni completamente impensabili. Questo ci pone di fronte alla possibilità che le soluzioni siano tecnicamente inapplicabili, ma è il rischio che è necessario correre quando si cerca di alzare il livello di innovatività di un sistema.

 

Da un lato potremmo avere soluzioni davvero innovative in molti ambiti di applicazione, dalla finanza, alla sanità, alle logiche di produzione e vendita, al marketing, ma dall’altro avremmo il rischio di ottenere soluzioni completamente inapplicabili perché illegali, perché non compatibili con alcuni vincoli preesistenti o, semplicemente, perché non opportune o non coerenti con i nostri principi etici e morali.

Pensate per esempio a una macchina che, pur di vincere ad un gioco qualunque, decida di barare, pur correndo il rischio di essere scoperta. Con il tempo potrebbe imparare a barare meglio, fino ad affinare questa sua caratteristica e trasformarla in una capacità a sua disposizione. D’altra parte, se l’obiettivo è vincere la partita, le regole potrebbero diventare meno importanti. Allo stesso modo potremmo avere algoritmi finanziari in grado di spostare ricchezza con delle logiche magari più efficienti, ma illegali.

Oppure potremmo avere macchine, a cui abbiamo chiesto di aiutare l’essere umano nel preservare meglio il pianeta Terra fornendo soluzioni per abbattere le emissioni di anidride carbonica e l’inquinamento, che potrebbero ritenere un’ottima idea l’estinzione del genere umano che, lo sappiamo benissimo, è la principale causa del problema.

La macchina avrebbe trovato “tecnicamente” un’ottima soluzione, resta da capire se al genere umano una soluzione di questo tipo possa andar bene.