Come si vive la storia del coronavirus nel regno delle Stories? Cosa diventano su Instagram la paura di massa, l’isteria a volte, a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi nel social degli influencer, della moda, dei selfie col filtro e dell’ironia in forma di meme? Non sono certo che funzioni come terapia anti panico, ma ci può aiutare a capire come molti giovani stanno vivendo questo momento così difficile.
Premessa necessaria: Instagram non è solo il regno dell’effimero. Da qui, dove i leader politici e i grandi giornali si muovono a fatica, non riuscendo quasi mai a trovare il linguaggio giusto, è partito il movimento globale per il clima dell’adolescente Greta Thunberg che ha portato decine di milioni di persone in piazza in centinaia di città. E il coronavirus? Quando cerchi i post, vieni invitato a visitare il sito del ministero della Sanità, ma a collezionare milioni di clic non sono gli epidemiologi. Uno dei più seguiti è Francesco Sole, nome d’arte di un poeta 27 enne che ha iniziato postando video in cui recitava le sue poesie su YouTube: nel video “l’Italia al tempo del coronavirus” si leva una mascherina dove c’è scritto “ho paura” e dice che il coronavirus non è una pandemia globale ma una infezione appena più seria dell’influenza da non sottovalutare ma neanche da farci cambiare abitudini ed etica”; perciò “è surreale quello che sta accadendo”, “il razzismo verso chi è asiatico”, “i supermercati saccheggiati come fossimo in guerra” e afferma “abbiamo dimostrato a noi stessi di non essere in grado di gestire il panico” perché “c’è differenza fra fare informazione e creare panico per vendere copie e fare più share”.
Lo seguono un milione e centomila follower. Tommaso Cassissa, 20 anni appena compiuti, autore del manuale di sopravvivenza Mi giustifico, ha fatto una cover della canzone di Sanremo dei Pinguini Tattici Nucleari in cui canta “è meglio il panico e un po’ di ansia generale piuttosto che ragionare” e sfotte “svaligiare il Carrefour sottocasa ti salverà” e “fare il bagno nell’Amuchina ti dona l’immortalità”. Ha appena meno di un milione di followers. Infine Andrea Danietti, 32 anni, conduttore radio e tv, autodefinito cintura nera di stories, in un monologo di 7 minuti, “distruzioni per l’uso”, si infervora “perché non ci informiamo su un virus che è come gli altri, un’influenza un po’ più forte?”. E snocciola dati, numeri, casi. I suoi: 225 mila followers.
Insomma, visti da Instagram, noi che chiudiamo tutto sembriamo dei vecchi matti. La fanno troppo facile? Certo, e in questo atteggiamento si riflette anche una inevitabile frattura generazionale che non è solo conseguenza del fatto che il coronavirus colpisce di più gli anziani, ma che abbiamo già visto su molti altri temi. Epperò non hanno torto quando chiedono, e lo fanno tutti, una informazione approfondita, pacata, che non urli e non inganni. Invece di snobbarli, dovremmo dialogarci anche perché sono loro, più del Tg1, ad influenzare i nostri figli.
Premessa necessaria: Instagram non è solo il regno dell’effimero. Da qui, dove i leader politici e i grandi giornali si muovono a fatica, non riuscendo quasi mai a trovare il linguaggio giusto, è partito il movimento globale per il clima dell’adolescente Greta Thunberg che ha portato decine di milioni di persone in piazza in centinaia di città. E il coronavirus? Quando cerchi i post, vieni invitato a visitare il sito del ministero della Sanità, ma a collezionare milioni di clic non sono gli epidemiologi. Uno dei più seguiti è Francesco Sole, nome d’arte di un poeta 27 enne che ha iniziato postando video in cui recitava le sue poesie su YouTube: nel video “l’Italia al tempo del coronavirus” si leva una mascherina dove c’è scritto “ho paura” e dice che il coronavirus non è una pandemia globale ma una infezione appena più seria dell’influenza da non sottovalutare ma neanche da farci cambiare abitudini ed etica”; perciò “è surreale quello che sta accadendo”, “il razzismo verso chi è asiatico”, “i supermercati saccheggiati come fossimo in guerra” e afferma “abbiamo dimostrato a noi stessi di non essere in grado di gestire il panico” perché “c’è differenza fra fare informazione e creare panico per vendere copie e fare più share”.
Lo seguono un milione e centomila follower. Tommaso Cassissa, 20 anni appena compiuti, autore del manuale di sopravvivenza Mi giustifico, ha fatto una cover della canzone di Sanremo dei Pinguini Tattici Nucleari in cui canta “è meglio il panico e un po’ di ansia generale piuttosto che ragionare” e sfotte “svaligiare il Carrefour sottocasa ti salverà” e “fare il bagno nell’Amuchina ti dona l’immortalità”. Ha appena meno di un milione di followers. Infine Andrea Danietti, 32 anni, conduttore radio e tv, autodefinito cintura nera di stories, in un monologo di 7 minuti, “distruzioni per l’uso”, si infervora “perché non ci informiamo su un virus che è come gli altri, un’influenza un po’ più forte?”. E snocciola dati, numeri, casi. I suoi: 225 mila followers.
Insomma, visti da Instagram, noi che chiudiamo tutto sembriamo dei vecchi matti. La fanno troppo facile? Certo, e in questo atteggiamento si riflette anche una inevitabile frattura generazionale che non è solo conseguenza del fatto che il coronavirus colpisce di più gli anziani, ma che abbiamo già visto su molti altri temi. Epperò non hanno torto quando chiedono, e lo fanno tutti, una informazione approfondita, pacata, che non urli e non inganni. Invece di snobbarli, dovremmo dialogarci anche perché sono loro, più del Tg1, ad influenzare i nostri figli.