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Quando la privacy è in vendita. Basta chiamarla “diritto all’immagine”

Quando la privacy è in vendita. Basta chiamarla “diritto all’immagine”
3 minuti di lettura

Lo scorso 16 giugno la corte di Cassazione ha pubblicato un’ordinanza che ha riconosciuto il diritto del notissimo attore Cgt a ottenere il risarcimento dei danni alla propria privacy e al proprio diritto all’immagine causati dalla pubblicazione di fotografie che lo avevano ritratto nell’agosto 2009, in atteggiamenti intimi con la sua compagna Ca.El. nel parco di (omissis), nel Comune di (omissis). Chi siano Cgt e (anche se non parte in giudizio) Ca. El.,  il provvedimento non lo dice perché i protagonisti della vicenda avevano chiesto che non venissero rese note le rispettive generalità.

Ma avendo un po’ di pazienza, alla fine del testo l’arcano sarà svelato, la (comprensibile) curiosità, soddisfatta e il paradosso della privacy rivelato.

Fotografia, paparazzi e interferenze illecite nella vita privata
È un principio consolidato nella giurisprudenza italiana che nei luoghi dove c’è una ragionevole aspettativa di non essere esposti al pubblico (la cosiddetta reasonable privacy expectation) non vale il diritto di cronaca. Il caso più famoso è quello della principessa Carolina di Monaco, che nonostante la notorietà si vide riconoscere da un tribunale tedesco il diritto a non vivere sempre sotto il tiro di un obiettivo fotografico.

Un conto, dunque, è fotografare una persona (nota) che si trova in uno spazio pubblico, un altro è farlo superando muri o recinzioni arrampicandosi su alberi o usando dei droni. In questo secondo caso, è chiara la volontà della persona di non volersi esporre a sguardi altrui ed è altrettanto automatica la sanzione per chi questa volontà non rispetta. Questo spiega perché già nei gradi precedenti al giudizio di Cassazione era stata riconosciuto a Cgt di essere stato vittima della violazione della legge sulla privacy, cioè l’articolo 615 bis del codice Penale, che punisce espressamente l’interferenza illecita nella vita privata commessa anche tramite (video)registrazioni e fotografie.

Privacy, machine learning e responsabilità individuale
A questo proposito è interessante notare che nel 2015 la Cassazione, con la sentenza 25363/2015 si era occupata anche di analizzare the role of software technologies (photograph retouching applications) used to magnify small images or part of them, to render them suit- able for publication and gossip. Using software to extract (or, as in this case, to enhance) information not otherwise easily accessible gives rise to a legitimate privacy claim.

Dunque, se è una violazione della privacy fotografare qualcuno che si è posto in condizioni di non essere ripreso, questo vale anche per gli ingrandimenti o gli enhancement resi possibili dai software di elaborazione fotografica che rivelano dettagli non immediatamente percepibili. Questa interpretazione, detto per inciso, è particolarmente rilevante perché con largo anticipo sui tempi affronta un problema che all’epoca poteva sembrare marginale, ma oggi è estremamente concreto.

Fino a qualche anno fa, ingrandire una porzione di una fotografia era possibile solo fino a un certo punto e, nonostante le alchimie dei software, i risultati a livello di dettaglio non necessariamente potevano essere soddisfacenti (basta guardare le copertine dei tabloid, che a volte pubblicano immagini sgranate, realizzate appunto ingrandendo piccole porzioni di fotografie scattate da lontano). Oggi, invece, sono disponibili algoritmi basati su machine learning (Google ne ha presentato uno e Adobe ha già incorporato nei suoi software una funzionalità analoga) che migliorano la risoluzione di foto di scarsa qualità e ricostruiscono dettagli altrimenti non visibili con applicazioni tradizionali. Per una volta, dunque, siamo di fronte a una sentenza che anticipa l’evoluzione tecnologica invece di subirla.

Cosa si vende, la privacy o diritto all’immagine?
Un altro aspetto interessante della decisione è la sovrapposizione fra privacy e  diritto alla propria immagine. Cgt si era lamentato del fatto che, pur non avendo mai venduto le foto dei propri momenti privati, in futuro avrebbe potuto cambiare idea e monetizzare anche scatti non pubblici. Dunque, la circolazione delle foto incriminate lo avrebbe danneggiato non perché hanno violato la sua privacy, ma perché lo hanno privato della possibilità di vendere un servizio esclusivo.

Nei gradi precedenti questa lamentela non era stata accolta, ma in terzo grado la Cassazione ha dato ragione al misterioso Cgt. La corte ha ritenuto che in questo caso il problema non fosse tanto una questione di privacy o (che è una cosa diversa) di dati personali, ma di diritto all’immagine.

Per un protagonista del mondo dello spettacolo, monetizzare la propria immagine (intesa non solo come pura esteriorità, ma come stile di vita nel suo insieme) è una fonte di guadagno. Come ogni bene economico, più un oggetto è scarso, più vale. Dunque, se le fotografie private di Cgt non sono facilmente disponibili hanno un valore elevato.

Per quanto questo ragionamento sia comprensibile se applicato a personaggi famosi, introduce un elemento di disparità nei confronti del resto del mondo che famoso non è. In casi analoghi ma relativi a persone normali, il principio di diritto enunciato dalla Cassazione in favore di Cgt non si applicherebbe. Avrebbe avuto più senso fare derivare il danno dalla violazione della privacy in quanto tale, in modo da rendere la decisione valida per chiunque, a prescindere dalla notorietà.

Chi è Cgt?
A margine di questa vicenda, l’ordinanza della Cassazione consacra un fatto paradossale, anzi, più di uno.

Il primo è che mentre sul sito della Cassazione questa ordinanza non è ancora disponibile perché “in fase di oscuramento”, il suo testo è ampiamente reperibile in Tete. Viene da chiedersi come sia possibile una cosa del genere e, in particolare, da quale pertugio del Palazzaccio sia potuto sfuggire il testo galeotto.

Il secondo è che, come già nel caso di Antonello Venditti, il provvedimento giudiziario avrà anche ordinato di mantere riservate le generalità delle parti e dunque di non pubblicare per esteso il nome di Cgt. Peccato, però, che la cronaca nazionale, quella locale e addirittura siti di professionisti e studi legali non si siano fatti particolari scrupoli nel diffondere il nome completo di Cgt, che altri non è se non George Timothy Clooney. Who else?