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Oggi in edicola lo speciale Italian Tech Week

Federico Faggin, dal primo microchip all'intelligenza artificiale

Federico Faggin, dal primo microchip all'intelligenza artificiale
Il padre della microelettronica, lo scienziato italiano che ha dato il via all'era dei personal computer, sarà sul palco dell'Italian Tech Week il 30 settembre. Ecco la sua storia
3 minuti di lettura

Il ritratto di Federico Faggin è nello speciale Italian Tech Week in edicola con Repubblica, La Stampa, Secolo XIX: 112 pagine con tutti i protagonisti della due giorni torinese.

 

“Sono un fisico, un inventore e un imprenditore. Nacqui a Vicenza durante la Seconda guerra mondiale in una famiglia cattolica e conseguii una laurea in fisica all’Università di Padova nel 1965, con lode”. Così Federico Faggin presenta sé stesso all’inizio del suo ultimo libro, Irriducibile, appena uscito per Mondadori. 

Subito dopo le cose si fanno più interessanti, e Faggin diventa quello per cui è oggi famoso: “Nel 1968 mi trasferii nella Silicon Valley, in California, per lavorare alla Fairchild Semiconductor, dove sviluppai la tecnologia MOS con gate di silicio che rese possibili i microprocessori, le memorie dinamiche ad accesso casuale, le memorie non volatili e i sensori d’immagine CCD: i componenti chiave della rivoluzione informatica. Nel 1970 andai a lavorare all’Intel, e qui progettai il primo microprocessore al mondo, l’Intel 4004”.

Ma già a 18 anni, col primo colloquio di lavoro con l’ingegner Mario Tchou di Olivetti, siamo nel cuore della storia dell’informatica italiana. Faggin viene assunto e in pochi mesi porta a termine il progetto che gli è stato affidato: un’unità aritmetica da utilizzare in una calcolatrice elettronica. È il 1961, e la CPU utilizza circa mille porte logiche realizzate con transistor al germanio fabbricati in Italia dalla SGS, ora conosciuta come STMicroelectronics: nel 2007 l’azienda salirà alla ribalta mondiale per aver costruito alcuni sensori dell’iPhone. Ma Faggin non è solo il padre dei microchip, e nella sua biografia i grandi nomi scorrono uno dopo l’altro: Intel, IBM, Apple, Logitech, Hewlett-Packard, in un succinto compendio della rivoluzione digitale degli ultimi 60 anni. Che include anche aziende meno note, ad esempio Synaptics, dove svilupperà il touchpad e il touchscreen. 

In Silicio, il suo libro precedente, racconta nel dettaglio i primi anni americani, quando intreccia relazioni, accumula successi su successi, ma conosce anche delusioni amare. Una di queste lo porta, nel 1974, a diventare imprenditore in proprio, oggi diremmo startupper: lascia tutto e fonda Zilog, dalla quale esce un altro pezzo di storia dell’informatica, il processore Z8, ancora in produzione. 

L’America mantiene quello che promette, i guadagni aumentano, Faggin e la sua famiglia vivono una vita agiata e all’apparenza felice. Ma c’è un pensiero costante nella sua mente: “Mi chiedevo: “Per cosa vivo?”. E allo stesso tempo mi sentivo in dovere di mantenere una facciata, date le mie responsabilità di marito, padre, e capo di una ditta promettente che coinvolgeva altre persone. Ma mi sentivo quasi morto dentro”, scrive. Una domanda che rimane senza risposta, fino a un episodio, raccontato in Silicio e ripreso parola per parola nell’ultimo libro. Una specie di esperienza mistica, un po’ come le estasi dei santi medievali, con il corpo e l’anima inondati di luce. Faggin rimane però uno scienziato: “Ora mi piace pensare che ho sperimentato la mia natura sia come “particella” che come “onda”, per usare un’analogia con la meccanica quantistica, impossibile da capire con la logica ordinaria. L’aspetto particellare era la capacità di mantenere la mia identità di osservatore nonostante sperimentassi me stesso come il mondo: il mio aspetto ondulatorio. La mia identità quindi è quel punto di vista unico con cui Uno – la totalità di ciò che esiste – osserva e conosce se stesso”.

Da allora - è il 1990 - la sua vita cambia: anche se continua a lanciare nuove imprese di successo, la priorità non è più bruciare un traguardo dopo l’altro, ma custodire e far crescere quella luce vista in riva al lago Tahoe. Si dedica a indagare il concetto di coscienza: una svolta radicale, e però in fondo anche il ritorno a un interesse che aveva cominciato a coltivare qualche anno prima, quello per le reti neurali e l’intelligenza artificiale. La ricerca di Faggin ha per oggetto non tanto i tratti comuni agli esseri umani e alle macchine, ma piuttosto le differenze, ciò che rende l’umanità non riducibile e non riproducibile in un circuito di silicio.  

Nel 2011 fonda la Federico and Elvia Faggin Foundation, no-profit dedicata allo studio scientifico della coscienza, con cui sponsorizza programmi di ricerca di università e centri di studio negli Usa e in Italia. E, nonostante medaglie, riconoscimenti, premi, continua a reinventarsi: così rimane ancora oggi una figura chiave della tecnologia. Che, come ricorda in chiusura di Irriducibile, “dev’essere usata per aiutarci a scoprire la nostra vera natura, non per imprigionarci ulteriormente in un mondo virtuale senza significato. È arrivata al punto che può veramente unirci, oppure può tenerci divisi in fazioni in guerra tra di loro (...). Quando capiremo che la scelta tra queste opzioni è solo nostra e che siamo noi i responsabili delle nostre esperienze potremo iniziare a conoscere veramente noi stessi e il mondo”.