Targa Tenco a Vescovo, il Neil Young friulano
“Penisolâti” ha conquistato la giuria e duecento giornalisti. «Viviamo sempre piú il distacco dalla comunità»

UDINE. Loris Vescovo passeggia per Milano colpito dal fuoco amico delle telefonate. Vincere una “Targa Tenco” implica una serie di meravigliosi sacrifici. Non ti arriva mica la lettera, come una volta.
La notizia diventa virale nel tempo di un do diesis tenuto e così il compositore friulano, in tempo reale, conosce il verdetto mentre la cosa si spalma ovunque.
«La manifattura dell’oggetto assomiglia parecchio ai premi della maratona, mi viene in mente questo - dice il cantautore friulano ancora stordito, sebbene l’estetica sia davvero l’ultimo pensiero -. Di fatto il “Tenco” stimola altra musica. Come le gare di vodka in Russia. Il vincitore riempirà il bagagliaio della sua auto con cinque litri altamente alcolici. Usando proporzioni e rispetto, il concetto è identico».
Già nel 2002 (Stemane Ulive) e nel 2009 (Borderline), Vescovo si affacciò sul palco. «Non esistevano le cinquine, nel 2002, diciamo che agguantai la finale, ecco. Per il bis di un lustro fa, invece, conclusi la marcia regolare tra i top five, ma vinse Avitabile».
C’è un ampio movimento di marilenghe cantata nell’ultimo decennio, che ha spostato gli equilibri dei festival. «Non erano abituati ad ascoltarci. Poi uscirono i vari Straulino e Maieron e adesso Giulia Daici ed Elsa Martin, un bel team determinato a diffondere la cultura nostra.
Da relegati all’angolo, rappresentanti di un esotico atipico, siamo pian piano saliti verso la ribalta. La curiosità diffidente si è trasformata in un interesse serio».
È Penisolâti, Egea Music per Nota Records, il disco che è riuscito ad attraversare senza freni le postazioni di duecento giornalisti, oltre alla giuria dell’ultimo atto.
«Borderline, prodotto di geografia politica, è strutturato per essere una riflessione sulla convenzione dei confini, Penisolâti, altresì, esamina le distanze e l’isolamento. Di fatto la nostra è una penisola/isola attaccata al Continente nel modo più invalicabile possibile, mentre si apre libera verso la Tunisia. Tutto per dire che c’è una sproporzione di spazi e comunque stiamo perdendo il contatto con l’Europa. Ho vissuto un anno in Nuova Zelanda (Vescovo è un ricercatore ambientale, ndr) e mi è servito a capire la sensazione di solitudine. Dall’altra parte del mondo è più evidente. Nemmeno noi scherziamo, però. Credo si percepisca netta la coscienza del distacco, nonché la nostra indifferenza direi totale. “Nulla indigna gli italiani”, diceva Pasolini».
Vescovo è un musicista colto. Il suo non è solamente suono. Dicono, o meglio si legge in giro, che assomigli a Neil Young. «Onorato. Da ragazzo ero un onnivoro. Mettevo di tutto sul piatto. Vero, molto Young. Qualcosa avrò preso, cantalo oggi, cantalo domani...».
Vorremmo dire ancora qualcosa sulla questione del friulano: potrebbe restringere l’uditorio? Un’ipotesi, Vescovo. Nulla di più. «Un limite? Forse. Un’opportunità? Ecco, propenderei di più per questa congettura. L’italiano lo sfruttano tutti quando si accostano a un microfono, se riesci a cogliere le sfumature e la realtà della tua terra l’effetto è sicuramente estroso».
E ci si sposta nella Piccola Patria, giusto per fare della pratica, dopo la teoria.
«Tornando ai peninsulati, basta guardare i paesi. Un tempo gli abitanti vivevano la comunità, c’era complicità, un’unica grande famiglia. Adesso i luoghi si sono trasformati in dormitori. Come se la ritirata fosse necessaria, ognuno chiuso dentro il suo spazio».
Molto riconduce al pensiero dell’autore, dunque. Pier Andrea Canei scrive: «Sono canzoni da sbucciare, ognuna ha un certo spessore da intaccare, bisogna fare fatica, sporcarsi le mani...».
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