Stoppa: tutto può ripartire dalla micropolitica
PORDENONE. Al convegno “Generare Comunità, Abitare le Istituzioni”, in programma domani, dalle 8.45 alle 17 nella sala della Provincia, si parlerà della relazione tra le istituzioni e i cittadini....

PORDENONE. Al convegno “Generare Comunità, Abitare le Istituzioni”, in programma domani, dalle 8.45 alle 17 nella sala della Provincia, si parlerà della relazione tra le istituzioni e i cittadini. Organizzato da Ambito Distrettuale 6.5, Ass n.6 Friuli Occidentale, Provincia di Pordenone, coop sociali Acli, Fai e Itaca, ospiterà tra i propri relatori don Pierluigi di Piazza e il sociologo Gianfranco Bettin, oltre a Paolo Bordon, direttore dell’azienda Santa Maria degli Angeli, a Giorgio Simon, direttore sanitario Ass 6, a Stefano Franzin, responsabile dell’Ambito urbano, e a operatori del settore. Responsabile scientifico dell’evento è Francesco Stoppa, psicoanalista e psicologo al Dsm di Pordenone, il cui recente libro "Istituire la vita", pubblicato da Vita e Pensiero, tratta proprio del rapporto istituzioni/comunità. Era convinzione di Franco Basaglia che il contatto con la comunità vivente contribuisca in maniera decisiva all’umanizzazione delle istituzioni, un’idea ripresa dallo stesso Stoppa che sottolinea nella sua opera quanto sia altrettanto certo che la comunità solo grazie alla mediazione critica esercitata dalle istituzioni, può mantenersi fedele alla sua vocazione di luogo di accoglienza, ascolto e solidarietà. Stoppa, davvero le istituzioni sono lontane dal cittadino? «Di certo non è la regola né un irrimediabile destino. Ma bisogna capire come le istituzioni - politiche, sanitarie, educative - possano evitare di chiudersi nella loro congenita autoreferenzialità o nei propri automatismi (un esito oggi piú probabile di un tempo) per essere invece coerenti con la vocazione di luoghi di ascolto e non di anonima gestione dei viventi. È solo il fattore umano che garantisce la comunione dialettica delle istituzioni con la comunità, per questo ci servono amministratori e tecnici capaci di esercitare una costante funzione di vigilanza critica sulla "macchina", sui modelli di sviluppo, facendo delle reti naturali presenti nel territorio il primo dei propri partner».
Lei apre la sua riflessione parlando del “rischio”. Cosa vuol dire per l’istituzione “entrare nel rischio”? «È un’espressione coniata da Basaglia. Le istituzioni sono gli avamposti dove vengono accolte le contraddizioni dell’esistenza e quindi non dovrebbero fuggire alla drammaticità di questo incontro senza rete. Prendiamo la Sanità o la Scuola: l’ossessione del ritorno di spesa, l’eccesso nella pianificazione e misurazione degli interventi, la standardizzazione delle pratiche ci dicono che in generale la nostra è una società impaurita, tesa alla propria autoimmunizzazione, a evitare l’imprevedibilità dell’impatto con la vita, che si tratti di corpi, anime, gruppi sociali». Appare inevitabile che il ruolo della politica per la comunità sia decisivo per qualunque ipotesi di sviluppo. Come vede la questione nel momento attuale? «La politica deve tornare a essere l’arte di governare la polis per e insieme ai cittadini. Oggi è l’ancella dell’economia, ha perso la trascendenza indispensabile per prendersi cura del mondo in una logica che non sia quella dell’utile e del profitto, ha smarrito la sua funzione pubblica. Penso - ed è la scommessa del nostro progetto di comunità Genius loci - che il tutto possa rivitalizzarsi ripartendo “dal basso”: una micropolitica basica, del quotidiano, che veda cittadini e istituzioni confrontarsi sulla qualità di vita dei quartieri e sulla possibilità di affrontare insieme le tante e spesso inedite criticità che attraversano il nostro mondo».
Gabriele Giuga
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