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Vera Vergani, la diva bohemiènne da Cividale al mondo

Elisabetta Montaldo pubblica “Posidonia” romanzo di viaggi in transatlantico e rilegge i gloriosi anni Venti attraverso la vita della nonna attrice per Pirandello

3 minuti di lettura

UDINE. Questa è una storia d’amore fra una grande attrice, originaria di Cividale, e un comandante di nave nato a Procida, la splendida isola nel golfo di Napoli. A raccontarla, con una scrittura delicata e intensa, è un recente libro, intitolato “Posidonia”, dal nome dell’erba marina che contorna come un prato fiorito i luoghi e i volti in questa incantevole vicenda da leggere e da respirare.

Fa bene al cuore di tutti. Eppure, come alle volte accade, il primo incontro fra i due protagonisti, viste le bizze dei rispettivi caratteri, non andò benissimo, anzi. Avvenne negli anni Venti su un transatlantico in servizio fra l’Italia e l’Argentina, dove lei si recava con la sua compagnia per una serie di spettacoli.

Quando le fu presentato il capo commissario della nave, il comandante Leonardo Pescarolo, lei, Vera Vergani, pensò: «Com’è carino, sembra la réclame del Protom». Lui colse quel guizzo malizioso e ricambiò alla pari. Sorrise senza scomporsi e invece di prendere la mano di lei per il saluto, con il pollice e l’indice le diede una delicata schicchera sul capezzolo che si delineava sotto il tessuto morbido.

Fu un attimo, nessuno se ne accorse, ma l’attrice restò di sasso, un po’ arrabbiata e un po’ divertita. «Se mettessi la scena in una pièce teatrale - pensò - sembrerebbe esagerata e invece la vita è spesso più grottesca della finzione».

I due poi si persero volutamente di vista in quel viaggio, si incontrarono in uno successivo, lungo la stessa rotta, mentre lei aveva i nervi a pezzi a causa d’un complicato flirt con un celebre commediografo. Era stata una serata agitata sul transatlantico dove molti avevano ecceduto con l’alcol.

Vera uscì sul ponte, nel buio, appoggiata al parapetto, per guardare la rocca di Gibilterra. Il comandante procidano le si avvicinò scusandosi per quanto di sguaiato era avvenuto e lei di getto gli disse: «Pescarolo, io credo di non poter piú vivere senza di lei!».

Superata l’iniziale sorpresa, il povero Pescarolo reagí come avrebbe fatto ogni uomo in quella circostanza tentando di abbracciarla, ma Vera lo stupí ancora: «No, non abbiamo mica fretta. Io me ne vado a letto, ne parliamo domani!».

E il comandante rimase sí, sul ponte, immobile, sbalordito, incapace di seguirla, mentre la nave correva agile verso il Mediterraneo e una nuova incredibile felicità per una coppia cosí bizzarra.

Ma è il momento di spiegare meglio chi sono questi personaggi. Lei è, dunque, Vera Vergani, l’attrice nata nel 1894 a Milano dove la mamma, Maria Podrecca, aveva deciso di trasferirsi da Cividale dopo il fallimento del matrimonio con il primo marito Francesco, sparito di casa e che forse era andato a fare il croupier a Montecarlo.

Originale, talentuosa, idealista, bohemiènne: tanti sono gli aggettivi per definire la famiglia Podrecca, attraversata dal fuoco dell’intelligenza, dall’incanto delle mattane artistiche, dalle infinite passioni. Tutti suonavano il pianoforte, tutti deliravano per il teatro, per la lirica, per Verdi e Wagner.

Una stirpe certo di sangue ribollente anche perché, secondo la leggenda familiare, un’antenata del Montenegro era fuggita con l’uomo-orso di un circo di zingari arrivato fino in Friuli.

La loro prima culla fu San Pietro al Natisone (allora chiamato degli Schiavoni) da dove un avvocato nato nel 1799, Giobatta, si era trasferito a Cividale sposando Carolina del Torre e dando inizio a una saga con numerosi figli, tra i quali spiccava Carlo, il nonno di Vera che, cresciuta in un contesto artistico simile, arrivò presto su un palcoscenico recitando ancora bambina a Cividale in una commedia di Giacinto Gallina organizzata per aiutare i terremotati della Calabria.

A colpire la fantasia della ragazza, chiamata da tutti “Panfresco”, erano lo zio Guido, socialista anarchico, fondatore della rivista satirica e anticlericale “L’Asino”, spesso arrestato per reati d’opinione e poi divenuto deputato, e lo zio Vittorio, l’avvocato che divenne famoso nel mondo con le marionette del suo “Teatro dei Piccoli”.

Anche mamma Maria aveva un’anima artistica. Del resto aveva sentito le doglie di Vera alla Scala di Milano uscendo da una “Manon” nel febbraio del 1894 e pur di non perdere un “Lohegrin” del tenore Giuseppe Borgatti aveva allattato l’altro figlio Orio tenendosi aggrappata alla sbarra del loggione.

E originale Maria lo rimase anche quando da anziana cambiava sempre parrocchia per confessarsi benché, diceva, di peccati in definitiva ne avesse solo uno, e cioè l’orgoglio di essere la madre di Vera, la diva prima interprete nei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, e di Orio, grande giornalista e scrittore (papà a sua volta di un’altra firma famosa, Guido Vergani).

Questo mondo friulan-milanese, partito dal Montenegro, a un certo punto si incontra dunque magicamente con il mare di Procida e dei Pescarolo. Un romanzo assolutamente vero, ma tanto piú affascinante di quelli inventati.

A raccontarlo in “Posidonia”, libro pubblicato dall’editore Il Melangolo (280 pagine, 19 euro), è adesso Elisabetta Montaldo, pittrice e costumista per il cinema, ma soprattutto nipote di Vera e Leonardo, che ebbero una figlia, chiamata anche lei Vera, moglie del regista Giuliano Montaldo, e un figlio, Leo, produttore cinematografico.

Elisabetta ha voluto dedicare a due nonni cosí originali e speciali un libro insolito, capace di legare tante sottili suggestioni fra le fredde Valli del Natisone e il caldo golfo di Napoli, con al centro in particolare la figura di Vera Vergani, una donna capace di lasciare le scene al colmo del successo a soli 33 anni per amore della famiglia.

Il libro narra pure i pensieri intimi della moglie accanto al letto del marito, che si stava spegnendo nella sua isola. E gli dice: «Povero amore mio, non hai mai avuto una grande salute, non come me, la quercia friulana! Ma adesso davvero mi sento debole. Come non mai ho avuto bisogno del tuo calore».

Parole estreme d’addio struggenti, uniche nella semplicità e verità, che chiudono vite piene di sentimenti, emozioni, incontri (scorrendo le pagine emerge una galleria sorprendente di volti celebri nel teatro, nella letteratura, nella storia italiana).

Ma piú di tutto vale il loro rapporto cosí definitivo, dolce e autentico anche nelle difficoltà, nato con un tocco scherzoso a un capezzolo. «Sei cosí, amore mio. - dice Vera -. Le tue cupezze sono nuvole in una giornata ventosa e tersa». Da brividi.

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