Colombo: Mani pulite non è bastata, l’Italia non rispetta ancora le regole
L’ex Pm al festival con il libro in cui ripercorre la piú importante inchiesta sulla corruzione. «Finché indagavamo la politica il Paese era con noi, poi quando l’indagine si è allargata...»

Ha smesso di fare il giudice per parlare delle regole, Gherardo Colombo. Per percorrere le strade del mondo cercando di trasmettere il senso ideale della giustizia. Perché è nella “non conoscenza” e nel “non rispetto delle regole” che ristagna il germe della corruzione. Che non si è certo esaurita con “Mani pulite”: «Non è attraverso le indagini che si mette all’angolo un fenomeno cosí diffuso, cosí endemico», dichiara senza dubbi l’ex giudice e sostituto procuratore della Repubblica di Milano al pubblico, soprattutto di studenti, che affolla il Palaprovincia di largo San Giorgio.
Talmente capillare che è stato proprio quando il cittadino qualunque si è sentito troppo minacciato che “Mani pulite” ha cominciato a vacillare. «All’inizio la gente aveva un atteggiamento addirittura smodato nel supportare il nostro lavoro; eravamo talmente popolari da girare spesso con una scorta che neanche Madonna… Il fatto è che era difficile identificarsi con quelle persone “troppo in alto”. Poi, a mano a mano che le prove portavano sempre piú in basso - al vigile urbano che faceva gratis la spesa e in cambio non controllava la bilancia del salumiere - gli italiani hanno cominciato a cambiare atteggiamento e le bocche si sono chiuse».
E cosí, dopo due anni e mezzo da quel 17 febbraio 1992, che con l’arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, Mario Chiesa, avviò l’epoca di Tangentopoli, nonostante il pool avesse scoperto «forse il 20, 30 per cento della corruzione in Italia» gli italiani non erano piú cosí convintamente dalla parte della magistratura. Gli italiani in “basso” e ancor di piú quelli in “alto”, piú su dei giudici, ovviamente. «Ho subito cinque provvedimenti disciplinari, ispezioni, iscrizioni nel registro degli indagati della procura di Brescia. Un messaggio chiaro per certi magistrati: attenti a non aprire quei cassetti, nonostante la leggi affermi il contrario. Non so quanti bastoni fra le ruote per tentare di ripristinare il vecchio sistema…».
Furono anni drammatici e carichi di speranza quelli che videro Colombo (insieme a Di Pietro, Davigo, D’Ambrosio, Borrelli, Ilda Boccassini…) fra i protagonisti della piú importante inchiesta giudiziaria della recente storia d’Italia. Un pagina triste, ma emblematica della nostra, eppure i ragazzi non la conoscono. Va bene, molti non erano ancora nati o erano troppo giovani per comprendere quella stagione che vide coinvolte nell’indagine più di 5 mila persone «fra cui quattro ex presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari, guardia di finanza, ispettori del lavoro o dell’Inps, assessori vari, imprenditori, magistrati.
Non c’era settore della pubblica amministrazione esente dalla corruzione («con tangenti che spaziavano dal 3 al 13,5 per cento dell’importo lavori»). Eppure - e la conferma arriva in diretta, dai ragazzi che non rispondono alla punzecchianti domande di Colombo - i giovani non sanno.
«Mi ripetete a memoria i re di Roma, ma nessuno sa dirmi cos’era la P2 - incalza l’ex giudice, aggirandosi fra le file - nessuno ricorda quante persone sono morte in piazza Fontana. Eppure - e si rivolge agli insegnanti - i ragazzi vengono a scuola perché hanno il diritto di sapere. Professori, genitori, parrocchie: è vostro dovere informarli. Conoscere la storia d’Italia piú recente sarebbe utile a prevenire certi comportamenti».
Raccontare, educare, far capire le regole (nel 2010 ha anche fondato l’associazione “Sulle regole”) e perché è necessario rispettarle («altrimenti si finisce per seguirne delle altre, quelle della mafia, per esempio»). È questa la “missione” di Colombo, oggi. Il suo nuovo libro “Lettera a un figlio su Mani pulite” - consigliato vivamente agli insegnanti di storia - offre appunto l’opportunità di ripercorrere una vicenda che ancor oggi suscita slanci di consenso e sostegno e l’occasione per ricostruire una stagione controversa, consegnata ormai alla storia del nostro Paese: «Perché da quello slancio urgente di giustizia si possa ripartire per trovare soluzioni efficaci a problemi che sembrano ancora tragicamente attuali».
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