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Leavitt: il tabú è caduto per sempre, l’omosessualità è nella cultura pop

Intervista allo scrittore “minimalista” in attesa dell’incontro di sabato in piazza San Marco. I matrimoni gay? «È un diritto, alla notizia ho pianto». Presenterà “I due hotel Francforts”

2 minuti di lettura

PORDENONE. Ci sono voluti sette anni affinché David Leavitt, uno degli scrittori americani piú noti e letti che, dal lontano 1984 quando a soli 23 anni col suo “Ballo di famiglia” divenne subito un caso letterario in tutto il mondo, ci aveva abituati a quasi un libro l’anno, tornasse con un nuovo romanzo, “I due hotel Francforts” che presenterà venerdí alle 16.30 in piazza San Marco a Pordenonelegge, introdotto da Loredana Lipperini.

Gli abbiamo chiesto le ragioni di un cosí lungo silenzio. «Blocco del scrittore – scherza –. La verità è che nel 2007, quando uscí “Il matematico indiano”, morí mio padre. Io ho sempre scritto cercando l’approvazione di mio padre, che me la diede proprio e per la prima volta con “Il matematico indiano”, per cui mi è stato molto difficile andare avanti. Tanto che in questi anni ho cominciato sei romanzi diversi, anche se in realtà quello che mi prendeva di piú era la biografia di Jean Michel Frank, un arredatore d’interni geniale, ebreo - era parente di Anna Frank –, omosessuale che cerco la salvezza dal nazismo scappando prima a Lisbona, poi in Argentina, infine nel 1941 a New York dove si suicidò buttandosi, questo il mito, dall’appartamento di Rockfeller che lui stesso aveva arredato anni prima».

Invece ecco la storia di due coppie di americani in fuga da Parigi, e in attesa di imbarcarsi per l’America a Lisbona. Una Lisbona affascinante, in cui la condizione di precarietà assoluta scatena una voglia di libertà e di essere finalmente se stessi, oltre ogni convenzione, ogni costrizione.

«Come una sorta di festa prima della fine del mondo – spiega Leavitt – per cui in questa atmosfera i protagonisti del romanzo vivono esperienze, in particolare i due uomini che instaurano una bruciante relazione di amor e sesso, che solo lí, solo in quella Lisbona, avrebbero potuto vivere».

Ecco che anche in questo libro torna il tema dell’omosessualità, che Leavitt con i suoi romanzi, i primi soprattutto, ha contribuito a deghettizzare. Infatti, conferma Leavitt, «un tempo era un soggetto tabú, mentre oggi, l’omosessualità è parte integrante della cultura popolare, della tv, del cinema. Noi vecchi abbiamo aperto una porta che si doveva tenere chiusa e adesso è spalancata, nessuno la nota piú. Lo spartiacque è arrivato con la legalizzazione dei matrimoni gay».

Ma fino a qualche anno fa lei era contrario. «Non piú, l’importante è che non sia un obbligo. È un diritto, ho pianto quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha approvato la legge che legalizzava le unioni gay».

Negli anni 80 lei fu tra i capifila di un nutrito gruppo di giovani scrittori americani, spesso riduttivamente indicati come “minimalisti”, che diedero un impulso straordinario alla letteratura del suo paese.

«Quel trend si è affievolito. Adesso c’è un grande ritorno all’idea un po’ antiquata di “grande romanzo americano”. I bestseller di Jonathan Franzen, Jeffrey Eugenides e Chad Harbach sono classici che ripropongono mirabilmente il realismo sociale americano delle origini. Al polo opposto, tra i ventenni, va forte il filone sperimentale,che si legge sul web e di cui nessun over 50 ha mai sentito parlare. L’unico autore-ponte tra le due generazioni è David Foster Wallace, la cui influenza sui nuovi scrittori è immensa... Sscrittore che stimo e che mi stimava, visto che non c’è piú, anche se piú di qualche volta mi ha mandato a... proprio perché, pur avendo la mia età è arrivato tardi al successo».

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