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Romanelli: la società è pronta Ora le famiglie omoparentali

Ci mettono pochi secondi gli occhi di Gus, 11 anni, faccia sveglia e furba, chissà da chi ha preso, a mostrare quanto possa essere naturale far parte di una famiglia omoparentale, essere figlio di un...

2 minuti di lettura

Ci mettono pochi secondi gli occhi di Gus, 11 anni, faccia sveglia e furba, chissà da chi ha preso, a mostrare quanto possa essere naturale far parte di una famiglia omoparentale, essere figlio di un donatore, costituire, insomma, uno di quei nuclei che il nostro lessico così avaro di visioni definisce alternative, arcobaleno, o quando non peggio, diverse. Con la proiezione l’altra sera di “Gayby Baby”, documentario australiano di Maya Newell, lei stessa cresciuta con due madri, il festival Le Voci dell'Inchiesta pone allo spettatore la questione della famiglia, non solo quella tradizionale, ma quella con la quale si confronta il mondo di oggi, e quindi quella allargata, omoparentale, con genitori separati o omosessuali. A condurre il dialogo con il pubblico, la scrittrice Eugenia Romanelli, firma di due blog La Repubblica e il fatto Quotidiano, autrice di vari saggi e romanzi sul tema della famiglia "postmoderna" tra cui "La donna senza nome" uscito l'anno scorso per Castelvecchi nel quale la protagonista, Emma, è anche lei figlia di due madri. Con lei anche Mauro Tabor, rappresentante dell'Associazione Famiglie Arcobaleno del Friuli Vg.

«La vera domanda che dobbiamo porci tutti - ci dice senza esitazioni Romanelli - è quella bioetica piuttosto. Nel senso che la questione delle famiglie omogenitoriali non è un fatto soltanto che riguarda solo gay e lesbiche per intenderci, ma siamo tutti coinvolti, senza nessuna esclusione, coinvolti dalla questione bioetica che permette il concepimento di figli artificiali, e chi sceglie questo percorso appartiene solo in parte alle coppie omosessuali».

Al netto di queste considerazioni come la mettiamo con i problemi di identità o di crescita?

Guardi che la questione che mi pone è davvero inconsistente. Abbiamo una letteratura trentennale sui figli di coppie omogenitoriali e l'unico problema che è stato rilevato è il cosiddetto "minority stress" e ciò quello stress legato alle reazioni del mondo esterno. Non è la coppia omogenitoriale o l'omossessualità dei genitori a generarlo, ma la società circostante, l'esclusione, il bullismo, i pregiudizi verso questo tipo di minori."

Il tema è posto bene dal film della Newell, forse l'unica differenza è che quei bambini, Gusm, Ebony, Matt e Graham sembrano non solo felici e sereni, ma anche piú intelligenti, piú consapevoli. Lei lo pensa possibile un lavoro simile con le famiglie italiane?

Mi verrebbe da dire che il blocco in Italia sarebbe posto dal Vaticano, ma in realtà non è cosí. Siamo indietro non solo all'Australia o ai paesi anglosassoni, ma all'America Latina, al Sud Africa, per esempio. Il punto è che è la nostra politica a non essere al passo con le trasformazioni sociali. La famiglia, la forma che ha preso la famiglia contemporanea è molto piú avanti di quanto la politica sia in grado di cogliere.

E quindi?

Da noi, nel bene e nel male, ci si arrangia. Seguivo un bambino figlio di una coppia di amiche, si è posto il problema di come festeggiare la festa del papà e gli hanno chiesto di visualizzare la propria famiglia e hanno escogitato l'espediente della margherita, è stato illuminante. Se questi bambini trovano a scuola uno spazio non inquinato dai pregiudizi, le cose funzionano benissimo. E in questo siamo abili, nel trasgredire cioè le leggi anche in forma positiva, capaci di creare spontaneamente una solidarietà che funziona.

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