Le armi e l’amore matrimonio audace cantato dall’Ariosto
Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese, canta l’Ariosto nell’incipit dell’Orlando Furioso, ancora una volta, lo aveva già fatto nel suo primo poema epico, l’Obizzeide,...
Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese, canta l’Ariosto nell’incipit dell’Orlando Furioso, ancora una volta, lo aveva già fatto nel suo primo poema epico, l’Obizzeide, ribadisce la contaminazione, per altro già compiutamente operata dal Boiardo, tra il tema delle armi, tipico del ciclo carolingio, e il tema dell’amore, caratteristico del ciclo arturiano. Se l’Orlando innamorato è forse la prima e più diretta fonte del Furioso, essa non è certo l’unica, si pensi, solo per restare nell’ambito dell’epica cavalleresca, a romanzi francesi medioevali come il Palamédes e il Tristan, o alle analoghe opere spagnole ed italiane, ai tanti cantari popolareschi, e naturalmente, al Morgante del Pulci, che segna il ritorno della materia carolingia nella letteratura colta, o ancora, al Mambriano di Cieco da Ferrara, o al proseguo dell’Innamorato, dell’Agostini.
Tra le innumerevoli fonti dell’Ariosto sono fondamentali i classici greci e latini, Omero, Virgilio, Orazio, Catullo, Ovidio, Stazio ed Apuleio, Claudiano, Manilio e Valerio Flacco, così come i classici volgari, Dante e Petrarca, Boccaccio, Poliziano, e gli umanisti del primo Quattrocento. Un modus operandi quello dell’Ariosto, che tra il I e il III decennio del XVI secolo, accanto alla traditio classica, riedita gli antichi topoi dell’epica cavalleresca, interpreta cioè, non senza ironia, i tradizionali modelli letterari della cavalleria medioevale, fonti assai note, spesso tradotte in tipi iconografici molto diffusi, basti pensare agli affreschi della loggetta dell’abbazia di Sesto al Reghena, o ancora considerare, quelli di medesimo soggetto, provenienti dal palazzo dei conti di Collalto sul Siletto, oggi esposti nel museo di Treviso. Fondamento e presupposto irrinunciabile del processo creativo ariostesco è l’ideale umanistico dell’otium, l’idea cioè, che a partire dal Petrarca, il primo a sospirare la tranquillità di una dimora dove poter scrutare in se stessi e dove ritirarsi a fare l’agricoltore e l’architetto, durante il Quattrocento ed il Cinquecento, si è venuta diffondendo tra gli umanisti, una nobile aspirazione, cui ogni gentiluomo si dedica nel tempo sottratto al negotium. L’esercizio dell’otium non è l’opposto della vita reale, bensì il presupposto indispensabile perché i dati della quotidianità, con la loro multiforme varietà e anche con la loro disperante contraddittorietà, possano comporsi in una sintesi armoniosa che li trascende, ma non li dimentica, anzi se ne nutre.
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